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Mi sono innamorato di una voce, a volte succede, anche se di rado. Come di innamorarsi, certo. Erika Wennerstrom è il suo nome: è la singer di una band di southern rock da hamburger dall’Ohio, gli Heartless Bastards, che evidentemente non avevano una grande ispirazione quando hanno scelto come chiamarsi. Bastardi senza cuore, puah… cos’è, uno slogan per il nuovo dopobarba irresistibile?
Non divaghiamo, stavamo dicendo che ci sono voci che condensano in loro la felicità e il dolore, il gioire e il disperarsi, la passione e l’ignavia, e Erika Wennerstrom possiede una di quelle voci; timbriche che non hanno sesso, che siano di Jeff Buckley, Edit Piaf o P.J. Harvey: sono androgine, sono il maschile e il femminile allo stesso tempo. Forse sono – semplicemente – la stessa condizione umana senza ulteriore aggettivazione.
“The Mountain”, terza prova del gruppo di Cincinnati, è un album ideale per chi ha nella scarpiera degli stivali con gli speroni, o almeno per chi ha sognato di possederli, e il sottoscritto non è in quella schiera. Ma ha goduto nel sentire quella voce sopra al roots psichedelico di “Wide Awake”, al rock-blues sciamanico di “Witchypoo” e, soprattutto, a quella che è una delle più belle canzoni ascoltate finora in questo 2009, ovvero la titletrack “The Mountain”, dimostrazione che quando c’è passione si possono suonare anche solo tre-accordi-tre.
I pezzi sono registrati in modo sanguigno, come se la band (rinnovata nella sezione ritmica, Doni Schroader alla batteria e Billy White al basso) suonasse davvero su un piccolo palco con la gente al bancone che li ascolta distrattamente, pensando ai fatti propri e dondolando la Bud nella mano destra, e ciò fa assumere particolare sincerità all’album. Il songwriter generale è buono ma non abbastanza da far gridare al miracolo, in quello gli Heartless Bastards devono migliorare, o meglio dovrebbero essere baciati più spesso dalla musa dell’ispirazione.
Speriamo che possa accadere, ne salterebbe fuori un nuovo “Grace”. Per ora invece “The Mountain” è solo, si fa per dire, un buon album e nulla più. Non dimenticatevi però il motivo per cui bisogna ascoltarlo: di queste voci ne nascono una ogni cinque anni.