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Mettiamola così: se si ha qualcosa da comunicare, il modo non conta, si trova e si può finanche utilizzare un linguaggio già utilizzato. Così è anche per i newyorkesi Chairlift, che sorprendono con questo loro secondo album pur riproponendo stilemi di quel pop sintetico che, per certi versi, parrebbe uscito dritto dritto dal 1984. Forse ciò è diretta derivazione dalla coppia di produttori, Dan Carey e Alan Moulder, che hanno sempre maneggiato roba simile, ma è Caroline Polachek che tira da quella parte. La modella di Brooklyn si trova a suo agio con le tastiere come St Vincent con la chitarra, e manifesta un amore sincero verso quell’electropop fatta di suoni pastosi, synth sferraglianti, waves rotonde, rullanti potenti e dark. Il basso di Patrick Wimberly, deciso e duro al punto al giusto, riequilibra il sound in puro new-wave style, e così “Something” va a rinfocolare il revival-trend degli eighties che dovrebbe essere oramai concluso ma che ritrova nuovi alfieri, e in questo caso alfieri che rielaborano con intelligenza.
Se il singolo “Amanaemonesia” aveva attirato già l’attenzione sul finire dell’anno scorso, grazie ad un video simpatico e ad un ritornello incidi-cervello, “Something” offre però molto di più: un qualcosa che si vorrebbe definire ghost-pop in “Wrong opinion”, un new-romantic rivisitato in “Ghost Tonight”, una ballad in punta di piedi interpretata splendidamente dalla voce eterea della Polachek in “Cool As Fire”, e molto altro ancora. Tante facce della stessa medaglia, riunite sotto l’egida della comunicabilità-pop vestita con il gusto vintage della decade scintillante di Reagan e della Thatcher. Ma, nonostante questo, attualissima pur in questo inizio-decennio che di luccicante ha ben poco.
83/100
(Paolo Bardelli)
19 febbraio 2012