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Riccardo Frabetti, chitarra dei bolognesi The Tunas, lo aveva anticipato all’uscita di “We Cut Our Fingers in July”: “ il nostro nuovo disco sarà qualcosa di molto più “grosso” rispetto a quello che abbiamo fatto in passato”. Detto, fatto. L’omonimo e fatidico terzo disco è il passo dei grandi, quello che per intenderci ha portato i Clash a pensare al punk in maniera totalitaria o agli Husker Dü di far diventare l’hardcore una questione non più solamente privata. Onore quindi alla Wild Honey Records che dopo The Mojomatics, The Peawees e Movie Star Junkies (tre dischi dallo spessore dei classici per la nostra Italietta) sforna il capolavoro definitivo che per il sottoscritto è già disco dell’anno (solo la resurrezione/riapparizione di Elvis potrebbe farmi cambiare idea) e cartina tornasole per comprendere la caratura della nostra provincia musicale.
Cosa c’è dentro “The Tunas”? La ferocia degli Husker Dü, la malinconia del folk (“15th of July” e la ballata oscura e popolare “One Year Older” sono il rifiatare adatto e il collante per questi trentacinque minuti estatici), la poesia del Paisley Underground (“Daddy Says” non avrebbe sfigurato nelle canzoni di Medicine Show), la rabbia del punk, lo scintillare del power pop degli Hoodoo Gurus, il piglio sfrontato del garage e l’irresistibile giovinezza mentale che rende i quattro ragazzi bolognesi esseri inattaccabili dalle correnti della moda.
Tutto, dai colori a olio della copertina all’armonica a bocca di “I’ve been Young”, fa sperare a una piccola rivoluzione, così da poterci permettere di evocare il nostro “Sogno del Sindacato”. Anche qui, piccoli giardini Zen (Arcade) crescono in libertà.
90/100
(Nicola Guerra)