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Ci sono dei luoghi comuni, nel linguaggio giornalistico-musicale, che ormai sono codificati e che vengono sovrautilizzati: “il difficile secondo album”, o “terzo”, a seconda delle correnti, “bello ma derivativo”, e così via. Mi piacerebbe dunque inaugurare oggi una nuova leggenda metropolitana-musicale, che è quella della “crisi del 10° anno”. Attenzione: la crisi non è dell’artista, bensì del fan dell’artista.
Accade infatti sovente che il povero gruppo o cantante abbia una folgorante carriera che lo porta, nell’arco di un decennio, a togliersi più di una soddisfazione, ma che sul calare della fine della decade subisca la disaffezione del fan che – indipendentemente dal risultato qualitativo dei suoi dischi – si è stancato. Punto. Si è stufato della sua voce, sono sempre i soliti, c’è in giro roba più eccitante o attuale e, dulcis in fundo, non sono più cool. Sì perché c’è ovviamente una legittima dose di necessità di cambiamento in questa posizione del fan sfiancato, ma anche un retrogusto di snobismo. Il fan decennale non ascolta più oggettivamente, rimuove a priori. Erano meglio prima, li ho visti quando ancora erano poppanti (magari qualcuno li avrà visti quando suonavano da spermatozoi…) e via dicendo.
La crisi del 10° anno (del fan) può non avvenire se il musicista/band in questione muta, e muta radicalmente (nel suono). In questa sottoipotesi si verificano due scenari: o il fan scappa a gambe levate, offeso e stizzito, gridando la lesa maestà del genere iniziale (casistica che perviene al medesimo risultato di allontanamento del fan, ma con più rabbia), oppure mette in saccoccia il cambio e loda le qualità eclettiche del suo artista del cuore. Ovvia esemplificazione di quest’ultima situazione, la parabola dei Radiohead. Con un corollario: in questo cambio la band può guadagnare nuovi fan, per cui da quel momento iniziano a decorrere i fatidici 10 anni. Quei fan, insomma, sentiranno la crisi 10 anni più tardi.
Ebbene, devo fare pubblica ammenda rispetto ai Sigur Rós. Avevo la crisi del 10° anno. Due/tre anni fa li avevo rimossi: Jonsi ormai canta come un delfino, han già dato tutto, si ripetono e altre balle del genere. Poi li ho sentiti due volte l’anno scorso dal vivo (a Rock En Seine e a Villafranca) e sono trasalito: sono (ancora) perfetti. Lasciate stare che a Ferrara abbiano suonato con poca omogeneità i pezzi dell’ultimo album (ad eccezione della title-track “Kveikur”, legnosa su disco e grandiosa live), che Jonsi forse era leggermente sotto ai suoi altissimi livelli vocali: i Sigur Rós di oggi, quelli che fanno sold out dopo 14 anni, sono una band stratosferica. Accorgiamocene tutti.
Poi mentre penso questo apro Facebook e leggo: “Forse perché non c’era FB o forse perché avevo meno amici ma tutti questi fan dei Sigur Rós nel tour del 2005 non c’erano e loro erano 2005 volte meglio. Io sto con chi è a vedere Neil Young inclusi i miei anche se mia madre voleva andare a vedere i Sigur Rós”. Eccola, la crisi del 10° anno. Per fortuna non ce l’hanno i Sigur Rós.
P.S. La crisi del 10° anno (del fan) si risolve dopo 20 anni. Se l’artista in questione continua a suonare, la band non si scioglie ecc., il solo fatto di esserci li riabilita agli occhi dei vecchi fan (vedi esempio di Neil Young). Quello che è vecchio di 10 anni è fuori moda, quello che è di 20 anni fa diventa vintage. Scusate se tutte queste digressioni hanno tolto parole al live report di Ferrara: in realtà l’unica recensione è che dovevate esserci.
(Paolo Bardelli)
31 luglio 2013
foto di Enrico Fiorasi