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Scrivere recensioni di dischi richiede prima di tutto tenacia e dedizione. A volte me lo dimentico, spesso incontro bei dischi di cui scrivere, ma è proprio quando capitano prove difficili come questo “Antiphone” dei Midlake che mi rendo conto della fatica del mestiere. Come si può continuare a scrivere restando lucidi e pacati, dopo un’introduzione del genere? Non lo so, ci provo, giuro che mi impegno.
I Midlake sono un gruppo di ex-ragazzi texani, che nel pieno degli anni Duemila hanno fatto qualcosa di buono e molto buono: “Bamnan And Slivercork” e “The Trials Of Van Occupanther”, del 2004 e del 2006. A distinguerli è stato il tentativo di mischiare tutti insieme psichedelia, progressive, pop e folk. A volte ci sono riusciti, a volte no. Questo “Antiphon”, anticipato dall’uscita dalla band del carismatico frontman Tim Smith, è appunto la volta no.
Orfani di chi aveva da sempre tenuto le redini di suono e stile, i Midlake hanno provato a fare del loro meglio, cercando anche di costruirsi la strada sotto i piedi. Rimangono i motivi folk e psych anni ’60, il prog, e una certa tendenza alle liturgie pastorali, ma il suono perde leggerezza e diventa saturo, farcito, eccessivo. Un disco pieno ma non incisivo, che spesso a fatica a non risultare banale e prevedibile.
Qualcosa è salvabile: la title track “Antiphone”, “Provider” e “It’s Going Down” sono le cose meglio riuscite, che stancano meno. Nonostante questa tripletta, per tutto il resto del disco si sente quasi l’ansia dei Midlake di dimostrare che ci sono ancora: lo fanno però in un modo che non convince, molto suono ma tutto poco incisivo. Probabilmente è lo scotto da pagare dopo essere rimasti senza guida, e magari si riprenderanno anche, visto che è da registrare una certa tenacia, almeno nell’attitudine. Ma questo disco non va. Mancano forza e ispirazione.
58/100
(Enrico Stradi)
29 novembre 2013