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Ci si permetta una battuta: Caroline Polachek ha definito il genere del suo nuovo progetto, Ramona Lisa, una musica elettronica “pastorale”. Più che di pastori invece bisognerebbe parlare di pecore, dato che la voce della Polachek si è trasformata in un belato insopportabile. Ci perdoni, Caroline, ma su di lei, sinceramente, un po’ ci avevamo scommesso. Era il finire del 2011 quando il video di “Amanaemonesia” l’aveva imposta all’attenzione assieme ai suoi Chairlift, e l’album-contenitore di quel singolo, “Something”, ci aveva convinto a più non posso (beccandosi un 83/100, un Questo Spacca! in piena regola).
Il problema è che ascoltando “Arcadia” non si capisce la necessità di Ramona Lisa: i Chairlift veleggiavano ancora con solo un paio di album in poppa, e dunque avevano bisogno di proseguire nel loro percorso approfondendolo, per cui non ci convince la Polachek quando dice che Ramona Lisa rappresenta il lato femminile inespresso nei Chairlift. O, meglio, forse ha ragione, però è un lato muliebre del tutto debole ed evanescente. Come le canzoni, che non incidono, passano via senza collocarsi in una ambito definito: dovrebbe essere un concept-album con molti suoni atmosferici ma rimane a metà della forma canzone e dell’ambient. L’unico episodio che può essere citato in senso positivo, dove infatti Ramona Lisa sposa atmosfere fifty-pop, è “Dominic”, mentre per il resto pare finta avanguardia strumentale da aeroporto (“I Love Our World”) o, ancor peggio, bucolica (“Hissing Pipes At Dawn”), intermezzata dai cantati fastidiosi della Polachek.
Peccato, ma alle volte essere ribattezzata “la Belen-indie” non basta.
50/100
(Paolo Bardelli)
30 aprile 2014