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Per chi non conoscesse ancora Mike Hadreas, alias Perfume Genius, un’etichetta facile facile e abbastanza esemplificativa da appiccicargli in fronte sarebbe: un Chris Martin più travestito da Antony senza i the Johnsons chiuso a chiave nel suo chamber-pop. Chiaro? Il discorso generalistico si complica però riguardo al particolare, nel caso specifico l’ultimo album “Too Bright”, dove il genio di Seattle mette in parte da parte pianoforte e forti pianti per sperimentare un approccio più vario, vibrante e impressionistico.
Nella fattispecie parliamo di sintetizzatori, slanci teatrali, droni cupi abbinati a coretti pseudo-gospel, effetti new-glam, ipnagogia fantasma e bassi wave. La rivoluzione è ben espressa nel singolo “Queen”, la seconda traccia del disco, dopo l’intro classico e arrendevole di “I Decline”. Con “Queen”, infatti, i talenti patetici e cromatici di Hadreas acquistano nuovo slancio e bellezza, ribollendo e contaminanandosi in un brodo soul-pop bowiano diretto da due note lente e distorte di synth. “Fool” è un altro numero da cabaret nero abbastanza riuscito: black music e pop triste intrecciati su un lamento religioso di toccante intensità. Con “No Good” e “Don’t Let Them In” si torna alla musica barocca da camera, tutta dolore e indulgenza, a cui Perfume Genius ci aveva abituato negli album precedenti. A bilanciare intervengono però, con sapiente tempistica e alta drammaticità, i chiaroscuri ’80 e semi-industrial di “My Body” (un perfetto lavoro esistenziale groovizzato senza cadere nella trappola della velocità), l’ossessiva trasvalutazione rockabilly-wave di “Grid” e il synthpop spaziale alla Prince di “Longpig”. Canzoni che lasciano il segno e sviluppano sogni o tormenti impressionanti.
Perfume Genius soffre. Si sente proprio che è incazzato, che i conti non gli tornano più e il dolore non ce la fa più a restare dentro: sta cercando una via d’uscita, soddisfazione. E uno come lui certo non può sfogare la rabbia in musica spaccando le chitarre e lanciandosi in cavalcate sataniche in blastbeat. Ci vuole qualcosa di più raffinato, mediato, cerebrale. L’aggressività si sublima per questo in liriche appuntite e dirette, più politiche e critiche. La musica cerca di trasformare il disagio in tensione, il nervosismo in dissonanza, pur nei limiti di un contesto pop ricercato e distinto. E in definitiva la sua estetica ne guadagna. Come succede da sempre, quando l’artista esce dal suo bozzolo di autocompiacimento e brucia tutto il suo nichilismo in un decadente rogo ideologico e poetico. Le vedete le scintille, le fiamme? Lo sentite il calore? Eccolo l’effetto. Quello giusto.
84/100
(Giuseppe Franza)
13 ottobre 2014