Share This Article
“This is a deliberate step back”. È con queste parole che Will Toledo, mente e braccio del progetto Car Seat Headrest, descrive il suo secondo disco. In totale contrapposizione con la logica e la consuetudine, il giovane autore della Virginia ha deciso che il suo secondo album dovesse essere un passo indietro rispetto al suo sorprendente esordio-non esordio “Teens Of Style”, uscito l’anno scorso per Matador Records. Un disco che in poco tempo ha fatto crescere esponenzialmente la curva di attenzione nei suoi confronti – una rivista statunitense l’ha addirittura etichettato “indie-rock hero”, come se l’indie-rock fosse in difficoltà, come se necessitasse di un salvataggio.
Sarà anche forse per allentare questo processo di cannibalizzazione mediatica che Will Toledo ha usato quell’espressione. Per molti motivi, veritera: in questo suo secondo album c’è infatti un lavoro di pulizia e definizione del suono che si avverte fin da subito. Era logico aspettarselo: fino ad ora Toledo ha scritto e registrato i suoi dischi in completa autonomia, pubblicandoli su Bandcamp una volta conclusi i pochi aggiustamenti in fase di produzione. E anche il disco d’esordio su una grossa label – la Matador Records – seppur sorprendente, non conteneva nulla di propriamente inedito. In questo senso quindi “Teens Of Denial” è un “deliberate step back“: è il suo primo disco non del tutto personale, è il suo primo disco collettivo, registrato insieme ad una band, prodotto e mixato da un produttore – e che produttore!, visto che al disco ha messo le mani Steve Fisk, al lavoro anche con Beat Happening, Soundgarden, Low, Unwound.
Gli effetti di questa scelta si avvertono subito: eravamo abituati ad un sound grezzo, al 100% diy, con le distorsioni che la facevano da padrone, dal suono delle chitarre a quello della voce. La opening-track “Fill In The Blank” invece mette in chiaro fin da subito le cose: le chitarre suonano più pulite di prima. La gradevole sporcizia handmande sembra sparita, senza far perdere vigore al sound. È purissimo indie-rock, e Toledo ha finalmente capito di non aver più bisogno di sovrastrutture per farsi apprezzare. Anche la sua voce non è più effettata, e viene fuori con tutta la sua urgenza post-adolescenziale, a tratti in maniera ancora più incisiva rispetto all’esordio. Forse il risultato è dato dal fatto che il brano è costruito seguendo una struttura più convenzionale che in passato: strofa & ritornello dall’inizio fino alla fine, semplice e diretto.
Una “normalizzazione” che potrebbe addirittura far preoccupare quelli che del primo disco di Car Seat Headrest apprezzavano l’atmosfera emotiva e lunatica dei brani, liberi di accelerare e rallentare a piacimento.
Ci pensa la seconda traccia “Vincent” (e poi tutte quelle che seguono), ad allontanare i dubbi e le preoccupazioni: un accordo si ripete compulsivamente per due minuti, col solo compito di stressarci le orecchie e prepararle al finale caldissimo, tutto fuoco e sudore, in cui compare addirittura anche qualche trama di fiati d’ottone. Di esplosioni così era pieno anche lo scorso album, e anche in questo “Teens Of Denial” fortunatamente non mancano: sono soltanto messe più a fuoco. Ogni parte che compone il sound è tirata a lucido per esprimere tutta la sua potenza, come esprimono alla perfezione tre brani sopra agli altri: “Destroyed By Hippie Powers”, che è fondamentalmente un tiratissimo pezzo grunge; ma anche “(Joe Gets Kicked Out of School for Using) Drugs With Friends (But Says This Isn’t a Problem)” e “Drunk Drivers/Killer Whales”, che iniziano con un acoustic-pop messo lì apposta per riuscire a caricare ancora di più il climax chitarresco del finale, tutto da cantare a squarciagola. Sono proprio questi crescendo così sudati, chiassosi e spontanei ad essere diventati ormai il tratto più riconoscibile della musica di Toledo, carica com’è di emotività e urgenza espressiva. L’apoteosi di quel peculiare modo di cantare e suonare si raggiunge nell’esplosiva “Connets the Dots (The Saga Of Frank Sinatra)”, un pezzo mai domo e tirato dall’inizio alla fine dei suoi sei minuti. Come nell’esordio, anzi più che nell’esordio, anche in questo album Toledo sorprende quindi per il suo suono immediato, senza fronzoli, umorale, adolescenziale, spavaldo e godevole fin dal primo ascolto, che per più di un’occasione ricorda, ma ben lontano dall’essere derivativo, il meglio della tradizione rock americana: dai Sonic Youth agli Who, dai Pavement ai The Cars (“Not Just What I Needed” era nata come una cover della loro “Just What I Needed”, prima che Ric Ocasek imponesse il veto), dai Nirvana ai Talking Heads (“Cosmic Hero” vive, parecchio alla lontana, degli echi di “Remain In Light”).
In definitiva, “Teens Of Denial” segna per Will Toledo il decisivo momento di presa di coscienza della propria forza, della differenza tra il suonare per sé e il suonare per gli altri. Dopo innumerevoli album registrati e suonati in cameretta, e un primo esordio parecchio promettente, è arrivato il tempo salire i palchi insieme alla sua band e spaccare una volta per tutte. È un disco che non lascia nulla di intentato, e che esprime il massimo possibile in ognuna delle dodici canzoni che lo compongono: c’è il rumore, c’è il sudore, c’è il fuoco, ci sono i ritornelli facili, ci sono le melodie a presa rapida, c’è la spensieratezza di poter far durare i pezzi più di sette, più di otto, più di undici minuti. Si poteva chiedere di più da un ventitreenne arrivato al suo secondo disco? Francamente no.
80/100
(Enrico Stradi)