Share This Article
Il caldo vi sfianca e non ne potete più di guidare per chilometri e chilometri ogni sera per unire il vostro olezzo di sudore a quello di miriadi di sconosciuti (sicuramente più puzzoni di voi)? Siete ancora alla ricerca di un’idea-vacanza last minute e non ne potete più di sentirvi proporre Gallipoli e Riccione?
Nessun problema ragazzi: noi di Kalporz abbiamo la soluzione a tutti i vostri problemi: prendete ferie dal 29 Luglio al 7 Agosto, infilate nelle valigie un paio di maglie lunghe e prenotate il vostro viaggio per CHAMOISic Festival. Situato nella Valle del Cervino, Chamois (Ao) ai suoi 1815 metri d’altezza è l’unico comune italiano in cui le macchine non possono circolare (è raggiungibile infatti in funivia, a piedi o in bici).
Il Festival ormai è giunto alla sua settima edizione, ed abbiamo voluto fare due chiacchiere con il trombettista e direttore artistico di CHAMOISic Giorgio Li Calzi.
La prima domanda è quella che più mi viene spontaneo porti: come avete immaginato un festival in queste location così fuori dall’ordinario?
Sarò sincero: il festival è nato per caso. il sindaco di Chamois, Remo Ducly, mi chiese nel 2009 di organizzare un festival musicale appoggiandomi a un’associazione, “Insieme a Chamois“, che è una onlus che promuove il territorio di Chamois con iniziative ambientalistico-sociali. Chamois si trova nella valle del Cervino, è a 1800 mt ed è l’unico comune italiano raggiungibile tramite funivia, senza automobili. Ho conosciuto quindi Laura e Gigi Strocchi dell’associazione, che restano i pilastri dell’organizzazione del festival, nonostante negli anni il festival sia cresciuto anche grazie ai collaboratori che sono arrivati strada facendo, e che sono una risorsa importantissima per il festival. Ad esempio quest’anno abbiamo lavorato in 5 per tutto l’anno (con Silvia Guerra ai bandi, che fa parte della rete di nuovo turismo “Sweet Mountains“, e con Fabio Battistetti, organizzazione generale. Fabio è un musicista e sperimentatore multimediale molto legato alla montagna). A un certo punto dell’anno, poi, parte l’immagine del festival che è coordinata da Mario Martini (promozione e video), Barbara Molino (grafica) e Sisterflash Maria, autrice delle illustrazioni che oltre ad essere il logo del festival, diventano anche le t-shirt (Kappa). Alla fine, durante i giorni del festival, tutta l’Associazione e gli abitanti di Chamois si adoperano per la riuscita del festival. Per noi, arrivare al festival con un bel gruppo lavorativo e con un grande feedback, non ultimo quello di istituzioni (Regione VDA e 4 Comuni), sponsor e partner, è già un grosso successo umano.
Fuori dall’ordinario è anche il concetto della rassegna, un festival ‘anti-pop’ che alla logica commerciale antepone quella puramente culturale. In che modo siete riusciti a guadagnarvi la fiducia del pubblico?
La missione è quella di promuovere un’attività culturale che abbia come obiettivo una ricaduta turistica. Ci tengo a sottolineare che ho sempre sostenuto che la cultura e il turismo sono due cose da tenere distinte, ma un certo tipo di turismo può essere certamente conseguenza di una manifestazione culturale, se ben inserita nel territorio che la ospita e se ha la complicità di un pubblico con cui si è progressivamente creato un interscambio. Queste condizioni, unite alla unicità della location e ad un programma che cerco di bilanciare al meglio con scelte e accostamenti spesso decontestualizzati dall’ordinario, ha decretato un successo popolare di CHAMOISic, e dico popolare perché non bisogna fraintendere e pensare che tutto ciò che è culturale debba essere per pochi eletti: è invece una crescita per tutti noi. E lo vediamo di anno in anno: il pubblico, in cui mi ci metto anch’io, è vivo e estremamente cogitante: cresce, e sta al gioco del programma “sorprendente”, che spesso si rivela una sorpresa anche per noi che lo assembliamo. Ti riporto un paio di frasi che mi arrivano dal pubblico: “bello il jazz, ma se fosse solo un festival di jazz, sai che noia?” oppure, dopo un concerto molto sperimentale, da parte di uno spettatore abbastanza generico: “tutto qui? c’è qualcosa di più difficile?“. Ovviamente dopo un concerto molto sperimentale, tendo a sceglierne uno di impatto più semplice, anche se il livello, la storia musicale, deve avere un senso. Quando il bilanciamento del programma è armonico, allora anche il pubblico è armonico. Però non penso solo al pubblico, ma anche agli abitanti di Chamois che nelle intenzioni della nostra associazione sono i primi a beneficiare del festival.
Trovo che la formula ‘alta quota-improvvisazione’ si sposi alla perfezione, come se gli artisti prendessero l’ispirazione potendo guardare intorno a sè con più chiarezza, restituendo poi le proprie melodie verso la valle. Aldilà di immagini più o meno poetiche, come vi è venuto in mente un concetto così radicale per la rassegna?
Ti ringrazio per la stima, ma devo confessarti che non la trovo una scelta così radicale: anche gli artisti che possono sembrare i più difficili, posti in una location spettacolare e che “fa molto comunità” come Chamois (proprio per via della mancanza di auto) sono seguiti con grande interesse dal pubblico, non solo quello che già li conosce, ma specialmente dagli spettatori che potrebbero sembrare più generalistici. Fossimo solo radicali, ci annoieremmo anche di noi stessi. Spesso capita che alcuni artisti, anche i più improbabili, tornino a Chamois in vacanza, e questa è un altra bella vittoria per noi.
Siete ormai arrivati al settimo anno di CHAMOISic Festival. Cosa vi siete portati dietro dalle passate edizioni e cosa portate di nuovo quest’anno?
Tra i concerti che ricordo meglio di CHAMOISic: i viennesi Radian, autori di un mix tra sperimentazione elettronica contemporanea e rock, concerto tecnicamente perfetto e glaciale, che ha aperto la prima edizione nel 2010. Mi è stato molto criticato come inizio-shock, ma tutti ancora ricordano questi austriaci venuti dal futuro. Skip “Little Axe” McDonald, bluesman anche lui del futuro, ha fatto uno dei concerti più apprezzati, edizione 2015. I PoliErranti, gruppo del cornista (anche delle Alpi) Martin Mayes, ha suonato in una location magica, davanti al Rifugio Ermitage, con un clima musicale magico anche grazie alla complicità del meteo che in pochissimo tempo ha mutato magicamente anche l’atmosfera musicale. Paolo Angeli e Takumi Fukushima, che fanno musica che ha pochi appigli con tutto ciò che è tradizionalmente mediatico. Ma la loro eccezionale performance è stata apprezzata, come si suol dire, da grandi e piccini, da musicofili e da ascoltatori casuali. Un’importante produzione originale è stata quella di portare l’ensemble multietnico di Jocelyn Pook, violista e compositrice britannica, autrice delle famosissime musiche di Eyes Wide Shout di Kubrick, che ha trascritto apposta per l’Orchestra del Teatro Regio di Torino le sue composizioni.
Passando all’edizione del 2016, avremo 3 concerti che sono in esclusiva italiana: il londinese Leafcutter John, sperimentatore di musica elettronica (e folk!) inglese, autore di un album geniale uscito nel 2015, “Resurrection”, album in cui la musica prevale sulla tecnica. Eivind Aarset, chitarrista norvegese che sarà ospite con il suo quartetto con due batterie, gruppo in bilico tra ambient, jazz e grande rock. Denseland, trio di grande impatto rock-elettronico di base a Berlino, capitanato dalla voce dell’americano David Moss, maestro della sperimentazione vocale. Un altro maestro, della chitarra elettrica e preparata, sarà a Chamois il giorno 5 agosto: il mitico Fred Frith, già collaboratore di Eno, Wyatt, Mike Oldfield, Zorn. I Manumanouche (sono fintamente manouche, e molto contemporanei) apriranno il festival a Valtournenche, la talentuosa violinista jazz svizzera Eva Slongo dopo una masterclass ad Antey, suonerà con un quartetto di eccellenza italiano (Gibellini, Battisti, Ruggieri), il cantautore Carlo Pestelli suonerà con l’ottantacinquenne Gianni Coscia, premio alla carriera del prestigioso Top Jazz 2015. Infine i valdostani Stefano Blanc al violoncello e la danzatrice Alessia Pinto apriranno il festival a Chamois.
La scelta degli artisti mostra un cartellone eclettico con artisti di varia estrazione: quali sono i punti che li uniscono?
Ho cercato di impiantare nel festival quello che mi interessa vedere e sentire come spettatore e come musicista: la sorpresa, la tensione e poi il rilassamento -va bene per i muscoli e quindi anche per il cervello-, il gusto per l’innovazione, per la musica di questo preciso momento storico, dalla musica contemporanea ai nuovi suoni elettronici, al jazz inteso come improvvisazione e creazione istantanea. E anche alcuni momenti dedicati alla tradizione. Ma in una presentazione di qualche passata edizione ho anche scritto: “avete mai curiosato nell’ipad di vostro cugino?” La cosa può riservare grandi sorprese. Proprio questo lato B della musica, che non è certo trash, ma è una sfaccettatura intima e inaspettata, mi interessa molto.
Oltre ai concerti sono presenti varie attività parallele, tra cui un’intrigante ‘passeggiata sonora’. Di che si tratta?
La passeggiata sonora tra i 7 mulini che caratterizzano il Comune di La Magdeleine, è un progetto di Fabio Battistetti, in arte Eniac, sperimentatore sonoro ed artista multidisciplinare molto legato alla montagna, da quest’anno attivo nell’organizzazione del festival. Fabio suonerà insieme a Gian Luigi Carlone (frontman della Banda Osiris e attento utilizzatore di innovativi mezzi elettronici musicali) e Biagio Bagini, ovvero i Conciorto, gruppo che si ispira alla “filosofia della campagna” suonando ortaggi come strumento per controllare i suoni (attraverso un’interfaccia Arduino). un concerto che può apparire semiserio, ma che parte da una ricerca profondamente sperimentale.
(Matteo Mannocci)
(Nella foto: Johnson Righeira, Gian Luigi Carlone, Giorgio Li Calzi a Chamois)