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Ci eravamo affezionati ai Viet Cong e come succede per tutte le cose che piacciono tanto, ci eravamo affezionati in qualche modo anche a quel loro nome. Un nome scomodo, radicale, quasi di tradizione hardcore DIY con cui Matt Fleger e Mike Wallace avevano rimesso insieme i pezzi dopo lo scioglimento forzato dei Women, in seguito alla drammatica morte di uno dei componenti. Non c’è stato neanche il tempo per godersi la diffusione in tutti i circuiti del nome Viet Cong, grazie a un esordio molto eclettico nel suo post-punk dai tratti psichedelici, dark e contemporanei (vedi recensione) trascinato da performance esplosive in tutto il mondo. Qui in Europa il nome Viet Cong ha un peso storico diverso rispetto a quello che può avere in Nord America. Si può essere canadese, ma vietcong è il nome di storici nemici degli Stati Uniti, per quanto siano passati decenni e decenni dagli anni della Guerra in Vietnam. E così, i quattro hanno optato per il cambio. Come ci hanno raccontato sono stati sette mesi molto duri, tra frustrazione e indecisione. Preoccupations, da cui prende il titolo questo secondo album eponimo, gioca con una sobria ironia sulle preoccupazioni legate alla diffusione del nome Viet Cong (vedi copertina di settembre a loro dedicato). Non ha un suono bellissimo e immediato rispetto a Viet Cong, ma ce ne siamo fatti una ragione subito, grazie al primo eccellente singolo “Anxiety” che apre non a caso anche il disco con quattro e minuti e mezzo di post-punk oscuro e claustrofobico in linea con i momenti più 80s di “Viet Cong”. Dal secondo singolo, “Degraded”, emerge un pathos decadente ancora molto 80s nella direzione dei primi lavori di Echo & the Bunnymen e dei Teardrop Explodes della fase Julian Cope. Sonorità aspre, ritmiche ossessive, la voce d’annata di Flegel e una propensione melodica più efficace rispetto all’esordio. Non si pensi a melodie facili, siamo sempre dalle parti del post-punk, gli arrangiamenti non stati levigati, ma l’anima sintetica non è più sotterrata da quell’incandescente scarica di chitarre che prevaleva in quasi tutti i brani del debutto. Così dopo “Monotony” arriva subito “Zodiac”, sulla scia di quella deflagrante “Pointless Experience” di Viet Cong. Anche “Stimulation” si muove sulla stessa traiettoria con le chitarre molto 1981 di Scott Munro e Danny Christiansen. Ai quattro nostalgici post-punk di Calgary piace ancora fare casino per fortuna, così tra le martellanti sassate del pirotecnico Wallace alla batteria, piovono distorsioni fragorose da accoliti di This Heat e Sonic Youth.
Nessuna preoccupazione, insomma. Il fascino di questo secondo album non è da immediato colpo di fulmine. Se in “Viet Cong” gli undici minuti di Death facevano da intenso aftermovie riepilogativo delle varie suggestioni presenti nel disco, qui c’è “Memory”, infilata nel mezzo delle tracce tra un’andatura da post-punk/wave e droni che spadroneggiano nei momenti più giusti, prima di prendere il sopravvento nel tappeto ambientale conclusivo. In questo brano compaiono tra gli ospiti, Dan Boeckner dei Wolf Parade, una delle band a cui avevamo accostato gli allora sconosciuti Viet Cong per motivi non solo geografici, e la voce, distante e alienata di Julie Fader (Sarah Harmer, Chad VanGaalen, Great Lake Swimmers). Un altro ospite di lusso nella breve (ma intensa) sinfonia noie-pop “Forbidden”, sempre da questa allstar canadese, Graham Walsh degli Holy Fuck, che ricompare con le sue diavolerie sintetiche anche nell’avvolgente “Fever”, unico brano dove i synth guidano la composizione. Non importa che la voce di Matt Flegel finisca inevitabilmente per infilarsi in quel filone dark di revival post-punk inaugurato ormai quasi quindici anni fa dagli Interpol. In quaranta minuti i Preoccupations continuano a dire tutto senza pudore, senza calcoli e con una libertà espressiva che travolge tutte le preoccupazioni del caso.
81/100
(Piero Merola)