Share This Article
Il “picco” dei Baustelle è stato “Fantasma” e quando si deve dare un seguito ad un disco “monolitico” come quello, di solito, i polsi tremano. Non sembra sia accaduto a Francesco, Rachele e Claudio, ma la scelta di dar vita ad un disco “oscenamente pop” sembra proprio orientata ad alleggerire il carico, riaccendere i motori e viversela il più serenamente possibile. Spiega Bianconi che, quella definizione di poco su, riguarda la libertà che si sono concessi inseguendo senza freni le proprie fascinazioni pop, lasciandosi la libertà di giocare con la propria cifra stilistica, con arrangiamenti e svariate connessioni sonore. Via libera allora a “La Voce Del Padrone”, all’attitudine da disco anni ’70, ai synth analogici più mellotron al posto degli archi, a non utilizzare batteria alcuna se non sample di beat da dischi “rigorosamente usciti tra il 1975 e il 1982” e auto campionamenti di batteria ad opera del percussionista Sebastiano De Gennaro. Confermato Diego Palazzo alla co-scrittura, le melodie e gli anfratti sonori di cui sono ricoperte le canzoni spaziano da Moroder agli Oliver Onions, da Bacharach…ai Baustelle.
E’ così perchè la “personalità” del songwriting del gruppo è la stessa (con le evidenti evoluzioni dovute ad esperienza e gusto maturato) degli inizi, quella che li rende speciali e può dividere sino a renderli insopportabili. In “L’Amore e La Violenza” il gusto dell’unire alto e basso, sacro e profano, continua indefesso, così come il citazionismo, la capacità di incanalare passioni e cultura personali in un percorso identitario ben preciso. I testi sono più diretti, la narrazione tout court lascia il passo a “sensazioni” e flashback, contrapposizioni costanti tra il mal di vivere e la gioia dell’accettarlo per “campare” meglio. Vibrazioni positive in tempi amari, insomma, veicolate da appigli melodico/compositivi più colorati del solito. Il piacere di spararsi in loop il disco è sicuramente più elevato di quello precedente, ma gli ascolti rivelano anche una sorta di discontinuità qualitativa della scaletta. Sino alla splendida “Betty” tutto fila rigoglioso, poi si alternano manierismi personali a intuizioni sonore azzeccate, hook melodici troppo vicini a quanto rivelato in “La Moda Del Lento” (“La Musica Sinfonica e “Lepidoptera”), per riprendere quota con “L’era Dell’Acquario” e, soprattutto, “La Vita”. La conclusiva “Ragazzina”, invece, è una torch song dedicata alla figlia di Francesco e, tra echi di Baglioni e sensazioni agrodolci, ci si sente più leggeri così come si realizza che “L’Amore e La Violenza” è “solo” il classico buon disco di passaggio, realizzato senza pressioni e per il gusto di continuare a camminare alla propria andatura.
70/100
(Giampaolo Cristofaro)
17 Gennaio 2017