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Giulia Villari è tornata sotto i riflettori in primavera con un nuovo album, “Real”, frutto della sua evoluzione verso nuovi territori pop ed elettronici. Cresciuta come voce e chitarrista jazz, aveva esordito nel 2011 da solista con “River”, disco prodotto da Rob Ellis, produttore e polistrumentista da sempre al fianco di PJ Harvey.
Qualcuno di voi forse l’aveva conosciuta già dieci anni prima, quando altri amici di Ellis, i Marlene Kuntz, l’avevano scelta come voce femminile in “Bellezza”, brano tratto da “Bianco Sporco”.
Della genesi di “Real”, ma anche delle influenze e delle ispirazioni di Giulia Villari, abbiamo parlato in questa lunga e profonda chiacchierata.
Pop elettronico, a tratti venature soul molto contemporanee. Com’è nato questo “Real”? Quali ascolti e quali suggestioni hanno ti hanno portato a un disco del genere?
“Real” è nato dopo che, riprendendo in mano le canzoni a cui avevo lavorato precedentemente, insieme al mio produttore Sante Rutigliano abbiamo deciso di rimettere in discussione tutto. Abbiamo sentito la necessità di canzoni nuovissime e di un sound differente, e così mi sono rimessa a scrivere da capo. Per fortuna ci è voluto poco: in tre mesi ho messo in piedi il disco.
Sicuramente una delle ragioni che mi hanno portato a questa decisione, è che negli ultimi tempi i miei ascolti sono decisamente cambiati. Si sono ampliati molto, concentrandosi soprattutto sulle nuove uscite. Non ricordo esattamente tutto quello che ho ascoltato, ma nella mischia c’erano sicuramente Tame Impala, Mac DeMarco, John Grant, Arcade Fire, Kendrick Lamar, Joanna Newsom, James Blake, Iosonouncane, come sempre i Wilco, Nick Cave e David Bowie.
Come si vede, artisti abbastanza dissimili tra loro. Oltre a delle parole che mi devono emozionare, quello che ascolto e che mi interessa nella musica sono la melodia e l’armonia: cerco sempre qualcosa che sorprenda e risvegli il mio orecchio. Non sono molto attenta agli arrangiamenti e ai suoni: in questo senso, è stato fondamentale il lavoro di Sante, che ha molto più le idee chiare di me. Non so come faccio a metabolizzare i miei ascolti, è un processo sul quale non sento di avere ancora un controllo cosciente. Scrivo sempre così come mi viene.
Quale consideri, sonorità a parte, il punto di continuità e il punto di rottura tra “River” e “Real” come scrittura e composizione.
Senza dubbio, la cosa che ha fatto di più la differenza con “River” è che in fase di scrittura ho abbandonato quasi completamente la chitarra, proprio per la volontà di cambiare approccio. Mi sono affidata al computer, dove ho cominciato componendo loop di batteria elettronica e accordi al piano. Diverso è stato anche lo stato d’animo, che era quello di esplorare, cimentarmi con qualcosa di nuovo ed anche divertirmi.
Il punto di continuità è la ricerca di una melodia bella, sospesa, solida, interessante.
Quanto coraggio serve ancora oggi per fare pop di un certo livello (e cantato non in lingua) in Italia? Credi che cantando in italiano avresti la vita più facile per certi tipi di pubblico?
Ovviamente la risposta è si. In realtà avevo in mente di scrivere “Real” in italiano, ma alla fine non l’ho fatto semplicemente perché c’era l’idea che questo album dovesse contenere il mio precedente singolo, “Coral red”, uscito ad ottobre 2015 ed inserito, in inglese, nella colonna sonora del film di Maria Sole Tognazzi “Io e lei”.
Ci saranno comunque grosse soprese a riguardo, ma non aggiungo altro.
I testi mi sembrano molto evocativi e curati, si continua a percepire un background letterario. Posso chiederti quali sono i tuoi riferimenti sotto questo aspetto?
Sia per lavoro (sono anche dottore di ricerca), che per passione, leggo molta poesia. Questo è sicuramente molto importante in generale per la mia persona, perché mi apre sempre a nuove conoscenze. Ma anche in questo caso, quando scrivo, tendo a dimenticare quello che ho imparato. Ho un approccio molto emotivo alla scrittura. Credo anche di avere un mio modo di scrivere, soprattutto i testi, abbastanza consolidato. Scrivo testi in forma poetica da quando sono piccolissima, i miei genitori e miei amici d’infanzia possono confermare.
Magari un giorno questa cosa cambierà, e sarò in grado di sapermi lasciare andare tenendo a mente quello che ho studiato. Se lo faccio ora – citazioni esplicite a parte – non è consciamente.
Mi sembra di capire che trascorri molto tempo lontana dall’Italia: di cosa ti occupi? Dove sei di stanza oggi? Mi piacerebbe capire come si sente e come si pone un’artista come te attiva ormai da un decennio nel contesto della scena indipendente italiana di questa generazione. Sappi che non voglio farti perdere amicizie…
Un sorriso per questa domanda!
Dunque, io faccio musica e sono a questo punto anche una ricercatrice universitaria. Vivo a Roma, ma oramai da sempre, perché ho una parte della famiglia in Inghilterra e per lavoro, passo una parte dell’anno a Londra. Recentemente sono stata anche a Parigi per tre mesi, perché ho vinto una borsa di studio. Sono tornata proprio quando è uscito il disco.
È vero che sono attiva come musicista da un decennio, se consideriamo la mia seconda voce in “Bellezza” dei Marlene Kuntz il mio esordio discografico.
La mia prima uscita come Giulia Villari però è del 2010. È passato del tempo prima che mi riaffacciassi con qualcosa di nuovo perché non è stato facile trovare, soprattutto dopo che avevo lavorato con Rob Ellis, dei collaboratori con cui andassi veramente d’accordo. Direi che sono una persona ambiziosa, ma nello stesso tempo sono davvero poco incline ai calcoli e vado veramente a sentimento. Ho dunque aspettato di trovare un produttore giusto, senza l’idea di dovere uscire a tutti i costi.
Per fare un disco poi, c’è bisogno di avere a disposizione discrete risorse economiche, ed è anche per questo che indubbiamente ci vuole coraggio per fare musica oggigiorno. Molte cose sono cambiate nel mercato da quando ho incominciato ad oggi. Oggi è sicuramente più difficile campare solo di musica.
In molti ti hanno conosciuto come seconda voce in “Bellezza”, brano dei Marlene Kuntz tratto da “Bianco Sporco” del 2005. Ripensando a quei tempi, hai un ricordo particolare legato all’esperienza con loro e Rob Ellis?
Ce ne sono diversi divertenti, anche perché io vivendo un po’ in un altro mondo, sono naturalmente incline a fare gaffe. Ma il più bello è sicuramente quando Cristiano mi ha chiesto di cantare.
Eravamo un pomeriggio in studio e lui mi si avvicinò dicendo che avevano in mente di mettere una voce femminile in “Bellezza” e che Riccardo, il loro fonico, era pronto in sala per registrare. Mi chiuse là dentro e mi lasciò lì, andandosene a fare altro, e io armonizzai a modo mio tutta la melodia. Dopo un po’ tornò, ascoltò al volo e mi diede qualche indicazione. Io rifeci la parte e così andò.
L’ultima sera di registrazioni andammo a festeggiare e lui mi disse che avevano chiuso il disco e che io ero dentro. Per rima, gli risposi che fin quando non lo avessi visto scritto, non ci avrei creduto.
La collaborazione con loro è stata molto importante per me, ma all’epoca – ero molto, molto giovane – davvero non mi rendevo conto di cosa stessi facendo.
E come sempre arriva anche il momento dei consigli. Avresti dei nomi da suggerirci legati alla scena della tua città o più in generale alla scena italiana?
Aspetto con molta curiosità il prossimo disco di Iosonouncane, che per me con “Die” – gliel’ho detto anche di persona – ha fatto il disco italiano del 2015, se non proprio uno dei migliori dischi italiani degli ultimi anni.
Stimo e ascolto spesso anche Colapesce, di cui mi piacciono oltre le melodie, anche i testi.
E parlando invece di nomi esteri?
Dei dischi usciti nel 2017, finora quello che mi ha colpito di più è stato il nuovo di Father John Misty. Anche il nuovo dei Pond mi ha sorpreso ed incuriosito molto. Mi è piaciuto anche il primo singolo del collettivo Broken Social Scene, con la voce di Feist, che sto ascoltando a ripetizione.
Aspetto fortissimamente il nuovo degli Arcade Fire che sono una delle mie band preferite.
Dove ti vedi tra 10 anni?
Dove non so, ma sicuramente come sì: innamorata.