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La parola chiave di quest’anno è UNEXPECTED, con una programmazione più o meno parallela e secret annunciata via app ad arricchire lo sterminato programma del weekend dei festival più atteso in Europa (ma ormai non solo). Quasi a compensare il previsto annullamento di Frank Ocean per “production delay” nel tour, lo staff del festival catalano ha ben pensato di regalare tre show a sorpresa: un live pre-serale degli Arcade Fire (già in cartellone) che hanno presentato in esclusiva mondiale e su un palco a 360 gradi il nuovo singolo, un live dei Mogwai sempre con premiere mondiale e un live delle HAIM, il meno prevedibile dei tre, se una di loro non avesse pensato di spoleirare su Instagram la loro presenza a Barcelona. Tre show a sorpresa che un po’ rispecchiano le diverse anime di un pubblico sempre più ampio (200mila persone in totale) ed eterogeneo, non solo per origini (più della metà gli stranieri presenti), ma anche per età. Probabilmente non avremmo visto tanti giovanissimi spettatori britannici e nordeuropei senza main act come the xx, un po’ penalizzati dai volumi e dal bagno di folla in uno dei palchi acusticamente più difficili (Jamie xx, a sostituire il grande assente dopo il live con la sua band), la meravigliosa Solange (probabilmente il live più bello del weekend), e altri rappresentanti della scena rap americana e grime (i sempre devastanti Run The Jewels, la promessa di Chicago Joey Purp e l’impetuoso Skepta, tra i momenti più nuovi e di alto livello). In alcuni momenti del festival l’età media è veramente bassa (colonia italiana, a parte), ma stupisce sempre, al di là delle comitive più irrequiete, la precoce abitudine alla musica dal vivo e al festival. Cosa che dalle nostre parti latita sempre di più, dirottando i gusti dei più giovani su un altro tipo di esperienza e divertimento notturno. Lo testimonia il colpo d’occhio mozzafiato (in termini di numeri e reazioni) durante due live più coinvolgenti, e molto diversi tra loro, come Solange (una sorta di rito seguito da molti quasi a bocca aperta) e la selvaggia danza collettiva ai limiti del moshpit durante il live di Skepta.
Senza dimenticare un paio di nomi fino a qualche anno fa impensabili per la proposta classica del Primavera, il californiano Miguel, con il suo saggio di R&B umorale con momenti prince-iani, cui fa da contraltare il toccante, percussivo nu-soul/R&B britannico di Sampha che strega un arena Ray Ban gremita. Entrambi non hanno sfigurato e hanno dato valore a quest’anima più “pop” e contemporanea del Primavera. Il cartellone come detto è davvero vasto, inutile aspettarsi un report che tocchi tutto. Come ogni anno è un festival fatto di scelte, dettati da orari, freschezza e voglia di tuffarsi o meno nella bolgia dei palchi principali. Tra gli altri momenti che resteranno scolpiti nella memoria, come era lecito attendersi, ci sarà sicuramente il ritorno sul palco di Aphex Twin che ha regalato un’ora e mezzo di imperscrutabili abbagli di techno, UK bass, reggaeton sperimentale, footwork, IDM, drum’n’bass, house e tantissimo altro. Con pochissimi brani del suo repertorio, non certamente i più famosi e comunque appena accennati, e i soliti ubriacanti visual, che giocano in diretta con i volti degli spettatori, ad accompagnare il tutto. Tra le cose migliori in termini di elettronica, tra l’area storica del Primavera e la nuova area allargata del Primavera Bits nel lungomare a nord raggiungibile da un ponte sempre affollato, hanno primeggiato, come preannunciato, Ben Ufo e Pearson Sound. Nonostante la fascia oraria post-annichilimento causa Aphex Twin (live che in molti abbandonano, sfiniti, prima del tempo) i due ragazzi di Hassle Sound hanno dato un saggio di quanto di meglio stia succedendo nel panorama elettronico UK e oltre. L’area fa da punto di ritrovo dei consumatori di bottiglie d’acqua e dei clubber più instancabili e “emotivamente” disorientati, dalle 12 di giovedì fino all’ultimo spietato set del sabato, del tedesco Recondite.
In un festival così eterogeneo, a partire dal mercoledì di anteprima con i posatissimi Local Natives, i soporiferi Saint Etienne e la sorprendentemente eclettica Kate Tempest (anche lei tra gli act migliori del weekend), è sempre molto divertente farsi prendere dai cambi di atmosfera più improbabili e bruschi. Nonostante una vicinanza geografica e generazionale, si può passare, già dal giovedì e in pochi minuti, dall’indie rock un po’ emo all’elegantissimo show cantautorale di un Kevin Morby sempre più convinto dei suoi mezzi e in grado di aprire il palco principale senza mai un calo di tensione. Dall’intermezzo dei redivivi This Heat (drogato ed estremo come solo i Royal Trux del sabato) al già citato Miguel per poi finire tra le lacrime e i ricordi di una delle band di culto della generazione indie dei millennial più precoci, i Broken Social Scene. Dal toccante e vellutato spettacolo di Bon Iver ai tempi dell’autotune ci si può abbandonare al free-jazz schizzato dei BADBADNOTGOOD e poi tornare a farsi male con la violenza meno controllata dei Death Grips (altro momento top). Liberatori, massacranti, sfiguranti.
Anche il venerdì che sembrerebbe il giorno con meno sovrapposizioni e problemi di gestione del proprio calendario personale. Tra gli italiani dei palchi principali c’è IOSONOUNCANE che funge un po’ da raduno per i tantissimi spettatori e addetti ai lavori nostrani presenti. Tra i nomi più contaminati c’è Sinkane con i suoi momenti un po’ DFA, un po’ soul e afrobeat, tra quelli più d’autore i Whitney che non sfigurano sul secondo palco principale, il Mango. E che ospitano sul palco il compare di stage e backstage, Mac DeMarco, un altro tra gli act più da Primavera degli ultimi anni. Come al solito stupisce la discrasia tra il mood adult dei brani e della loro esecuzione (soprattutto quelli del nuovo disco) e le onnipresenti pantomime, con il batterista completamente nudo in diretta Red Bull planetaria, la comparsata dei Whitney in condizioni piuttosto pietose e i consueti chilometrici stage diving. Tra i vari grandi vecchi si sceglie di andare a vedere i Descendents per regalarsi qualche minuto di cuore e anthem. Anche loro, così come si narra dei The Make Up, resistono al peso degli anni. Facendo meglio di tanti altri nomi ben più giovani. Venerdì si potrebbe già andare via con lo scioccante spettacolo audiovisivo Flying Lotus, al pari di Aphex Twin, uno dei momenti del festival che meglio raccontano l’attualità.
Nell’attualità c’è sempre e comunque spazio per momenti più classici, si pensi alle voci femminili tradizionalmente indie e anni 2000 di Weyes Blood e Angel Olsen, ma non manca il presente e il futuro, ben rappresentato dal gusto più fresco e alt-R&B della conturbante rising star israeliana Noga Erez. In fondo il bello del Primavera è riuscire a racchiudere in un grandissimo contenitore davvero di tutto. Dal viscerale songwriting di Hamilton Leithauser ex The Walkmen a Grace Jones ai sofisticati Wild Beasts, dalle chitarre di LVL UP e Mannequin Pussy agli incessanti djset del palco Desperado, dagli eccentrici rapper dalle influenze etniche Swet Shop Boys del protagonista di “The Night Of” Riz Ahmed al prodigioso King Krule, in grado di regalare uno show notturno e d’annata per chi non ha voglia di rivedere gli Arcade Fire, fino alle HAIM che continuano a essere le solite irriducibili ragazze prodigio in grado di regalare dei perfetti momenti singalong da festival.
Ancora una volta a Barcelona tra la fine di maggio e inizio giugno, il Primavera Sound riesce a cavalcare le migliori realtà musicali del pianeta. Nel festival europeo dove gli Slayer condividono il backstage con Solange, continua a essere costante il desiderio di equilibrio tra nostalgia e contemporaneità che sembra tendere sempre più verso quest’ultima, a partire dagli headliner.
In fondo, inutile nasconderlo, un festival senza under 25 non ha futuro.