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Stavolta mettiamola in stile evangelico: accogliamo volentieri la pecorella smarrita. Empress Of, alias Lorely Rodriquez, aveva esordito coi fuochi d’artificio con “Me” (2015), un album che viveva di sensazioni newyorkesi che ancor oggi ricordiamo come tra i più a fuoco degli Anni Dieci, mentre nel successivo “Us” (2018) la definizione sonora era un po’ evaporata come se nel passaggio dall’io al noi l’artista di origina onduregna si fosse un po’ persa o, meglio, avesse voluto inseguire più i trend del momento e la sbornia losangelina rispetto alle proprie idee.
Con “I’m Your Empress Of” la Rodriguez ritrova la propria bussola: in apertura, nella canzone omonima, detta subito la linea programmatica, con la madre che racconta di come sia stato difficile per lei, immigrata, farcela negli States, imparare una lingua sconosciuta, crescere una figlia che però è come tante figlie, messaggio femminile universale. Empress Of l’ha portata in sala d’incisione e le ha chiesto di raccontare – sopra una base che sostanzialmente è un tempo di salsa, quindi un genere musicale delle sue origini – di cosa vuol dire essere una donna, una madre e un’immigrata e lei, come racconta l’artista in un’intervista a NME, “ha detto delle cose davvero incredibili”. C’è certo la consapevolezza di empowerment femminile ma in questo caso mi pare più la necessità di riprendere il filo della propria storia familiare. E in questo comfort “casalingo” Empress Of si lecca le ferite di una storia d’amore finita (e, guarda caso, era così anche nell’occasione di “Me”): “Your violent love ain’t a bluff” canta nella toccante e bellissima “Maybe This Time”, sotto l’eco di synth lontani e una specie di reggaeton triste.
Ma l’anima ancora più personale di Empress Of è quella dance-pop di brani come “Bit Of Rain” (sulla scia dell’indimenticata, ancor oggi esplosiva, “How Do You Do It” del primo album), “Love Is A Drug” e “Give Me Another Chance”, pezzi di una certa consistenza (finalmente!) in tempi scorrevoli e che evaporano come un virus senza un organismo ospitante. Il resto sono canzoni più contemplative ma con un tocco di sogno ad occhi aperti che ci restituiscono una cantautrice che riesce a trasformare le difficoltà in speranze, anche quando canta “I need some help” (nella conclusiva “Awful”): niente è sacro (“Nothing’s sacred”), tutto è profano, o forse anche prosaico.
Ed Empress Of è tra le cantautrici odierne più profonde in questa materialità.
80/100
(Paolo Bardelli)