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È passato molto tempo dall’ultimo disco di Fiona Apple ed è chiaro fin dalle prime battute che in questo periodo son successe molte cose. In “Fetch the Bolt Cutters” si avverte tutto il carico di questi quasi dieci anni.
Nella canzone d’apertura viene menzionata l’elasticità del tempo. Elastico è un aggettivo che calza in modo molto preciso addosso all’album, date le sue accelerate, le brusche frenate e la maniera in cui la Apple spinge la voce al limite, per poi smorzarla pochi secondi dopo e trasformarla in un sussurro.
In questo lavoro, la cantautrice rinnega del tutto la nostalgia e se si guarda indietro, è solo per dare un’occhiata allo specchietto retrovisore, come si farebbe prima di un adrenalinico sorpasso. L’ansia ha sempre caratterizzato la produzione di Fiona Apple, come naturale riflesso del suo vissuto personale, ma per la prima volta qui assume un’accezione diversa, perfino positiva: si percepisce un fremere in attesa di qualcosa che deve ancora arrivare.
Le cicatrici non sono coperte da un tatuaggio, ma sono ostentate con fierezza. Fiona Apple punta i piedi: non solo lei è ancora qua, ma la versione di lei che noi vediamo esiste solo grazie a quelle coltellate. Il vittimismo è azzerato, il tema principale è il reagire ed il reclamare il proprio posto. “Fetch the Bolt Cutters” non è altro che un sinonimo di get your shit together.
La penna della Apple è sempre di livello altissimo e si alternano versi pungenti ad altri pieni di una sofisticata ironia. La si potrebbe perfino tacciare di verbosità, se non fosse così brava nel padroneggiare gli spigolosi fraseggi e riuscire, sempre, a mettere al primo posto la melodia.
La costruzione delle canzoni è magistrale, frutto di una tecnica e di uno stile raffinati col tempo. Parlare del canonico alzare l’asticella appare perfino riduttivo. Testi ed arrangiamenti sbocciano ascolto dopo ascolto, rivelandosi strato dopo strato. Idee semplici, ma efficaci, come le linee melodiche di “Newspaper” o “Shameika”, vanno a braccetto con più complessi elementi jazzy, mentre la bellissima ed herky-jecky “Cosmonauts”, ci percuote con i suoi continui cambi di passo e registro.
Sarebbe un errore gravissimo lasciarsi incuriosire solo dal testo, perché c’è un’attenzione maniacale ad ogni singolo suono, che siano pianoforti, percussioni, il meraviglioso basso di Sebastian Steilberg (vera chiave di volta sonora del disco) oppure l’intima cacofonia domestica dell’acciottolìo delle stoviglie e dei cani che abbaiano. È pop di pregevole fattura, per quanto costruito su un’intelaiatura fatta di dissonanze e suoni ruvidi.
È rischioso parlare di minimalismo, data la quantità di elementi, ma è altrettanto impossibile parlare di pomposità. Forse l’aggettivo più giusto è misurato. Se fosse un piatto sarebbe saporito, non salato e nemmeno insipido. Le melodie ed i rispettivi counterpoint si avviticchiano, un incantevole groove ravviva e scalda ogni singolo brano ed è impossibile annoiarsi durante l’ascolto, tanti sono gli ingredienti che continuamente attirano l’attenzione. È un disco frenetico, agitato, divertente, colmo di crescendo e di relativi climax. Non sappiamo quanto dovremo attendere per avere un altro disco, ma siamo al corrente del fatto che Fiona Apple non vede l’ora di innamorarsi, di arrabbiarsi, di urlare, di essere viva.
Il brano di chiusura “On I Go”, in cui è possibile perfino scorgere un leggero richiamo a certi Swans, contiene una delle sequenze di versi più significative: On I go, not toward or away / Up until now it was day, next day / Up until now in a rush to prove / Now I only move to move.
Quanto abbiamo imparato, in questo 2020, l’importanza di muoversi soltanto per il gusto di muoversi?
87/100
(Carmine D’Amico)