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Ci eravamo già chiesti, in piena epoca di lockdown, circa la fruizione musicale in logica di confinamento e le prospettive del post-epidemia, economiche e non (“Musica Infetta!”). Questa volta invece ci siamo concentrati, nel format da “tavola rotonda” che oramai ci piace un sacco e nell’ambito della nostra rubrica “a ruota libera” #My2cents, a come è cambiata (se lo è) la modalità di creazione di musica in un periodo in cui è stato impossibile essere fisicamente assieme ai propri collaboratori e quali saranno le sensazioni e i generi che ne scaturiranno e che ascolteremo nei prossimi mesi.
Samuele: Credo che il modo di comporre degli artisti non cambierà molto, ma il disagio causato dal virus potrebbe permettere rivoluzioni impensabili qualche anno fa per quanto concerne la distribuzione. Forse, d’ora in poi, anche gli artisti più fedeli al supporto fisico inizieranno a distribuire la loro musica in maniera diversa. Porto come esempio Bob Dylan. I singoli che anticipano il suo nuovo album sono stati distribuiti senza alcun preavviso poco dopo la mezzanotte (orario di New York) di tre venerdì distanti tre settimane l’uno dall’altro. Si tratta di droppings più vicini all’idea di distribuzione che può avere l’hip-hop, anche se il suo nuovo album uscirà in CD e LP. Penso, invece, che sotto altri aspetti per molti artisti le cose non cambieranno. Tanti sono già abituati a lavorare a distanza. Il virus cementificherà certe abitudini. Si registreranno sempre di più parti di brani nel proprio studio casalingo. Ma già Sufjan Stevens aveva registrato pezzi di Carrie & Lowell con l’iPhone e Kanye West aveva lavorato a diversi beat di My Beautiful Dark Twisted Fantasy su un iPad, no?
Paolo: Oramai non è più tecnicamente necessario essere nella stessa stanza per fare musica. Un esempio? Thom Yorke l’anno scorso ha dichiarato che per realizzare “Anima” si scambiava i file con Nigel Godrich in aeroporto e lui glieli restituiva con le aggiunte e modifiche. Si può fare tutto in remoto, con un pc e dei programmi di registrazione e editing, un microfono e dei wetransfer per trasferire i file. Però certo in questi mesi gli artisti che erano soliti lavorare in maniera collettiva non ci saranno riusciti, avranno immagino composto.
Nel mondo che ci aspetta credo che, passato il lockdown vero e proprio, si tornerà a fare musica nella maniera di prima ma probabilmente diminuiranno le collaborazioni più che altro perché scemeranno le occasioni per incontrarsi, sia la gente comune che chi suona, e si sa che le collaborazioni migliori nascono da incontri di artisti che siano anime affini.
Carmine: Anche io sono abbastanza d’accordo con questa visione. Potrebbero risentirne giusto i dischi di stampo rock, ma perché per gusto personale spesso preferisco i dischi rock registrati “in presa diretta”.
Non sono d’accordo al 100% sul discorso dell’iniziare a collaborare incontrandosi, invece. Nel senso che tantissimi artisti già da anni iniziavano ad avere contatti per via di una storia IG, di un commento, di un tag. Internet era già diventato un luogo a tutti gli effetti, credo al massimo possa essersi amplificata quella cosa.
Marco: Evidentemente, delle tante “fasi” della musica, quella della creazione è la meno condizionata da questa situazione qui. Semmai certe prassi di collaborazione a distanza troveranno ulteriori motivazioni, spunti, modi. Quindi, senza concerti e apparizioni ci potrebbe essere più “investimento” (lo intendo più con accezione emotiva che economica) sul creare/realizzare canzoni e album con queste modalità rigorosamente “poco aggregative”. Certo, poi, venendo al piano economico, mancherà quella voce determinante del suonare dal vivo ed è una specie di vuoto che ha una gravità rilevante sulla stessa fase produttiva, non giriamoci intorno. Però, se è vero che si cominciano a fare le line-up per l’anno prossimo (con forte valore simbolico e motivante, mi vien da dire) allora questa dei mesi a venire può essere una anomala, azzoppata ma interessantissima e coraggiosa (ai limiti dell’incosciente) fase produttiva.
Al contempo una vena amarognola potrebbe spargersi nella musica, in tutta la musica, volendo. Per amarognola intendo che continueranno certo ad esistere sia le tinte pastello che il luccichio ma con un pizzico di disincanto e incertezza in più. Cose che quando si infilano nella vita la rendono peggiore ma quando si infilano nella musica la rendono (a mio vedere) mediamente migliore. Migliorando un minimo quella vita della gente che nel frattempo era sensibilmente peggiorata, ecco.
Paolo: Credo che al pop si affiancheranno dei nuovi linguaggi forti. Il pop non potrà fare passi indietro perché è, nella nostra cultura attuale, dappertutto e deriva dalla logica dei trending topic e dalla facilità dello streaming. Inoltre è notorio che nelle società povere, come saranno le nostre in futuro, le persone comunque tendono a utilizzare l’arte come via d’uscita, come sogno, nei film e nella musica soprattutto. Nelle società comuniste del pre-caduta del Muro di Berlino il rock ad esempio (e la musica occidentale) ha sempre esercitato un fascino enorme, così come nei Paesi attualmente non democratici il luccichio del pop opulento attira molto. Dunque si continuerà a sognare con il pop un presente migliore di quello che si avrà. Però forse ci sarà una scrematura: rimarrà solo chi riuscirà a vestire il proprio pop di questo alone di speranza di miglioramento, mentre sparirà chi propone del pop tenue, vacuo e futile, e ora ce ne sono tanti.
Siccome poi penso che ci sarà molta rabbia in giro, per le inevitabili disuguaglianze sociali, questa insoddisfazione sarà – spero – canalizzata in musica: in un nuovo rock, nuovo punk, nuova elettronica, non sarà importante il genere ma l’impatto, la forza del linguaggio, l’attivismo, la propositività. Perché ci sarà da ricostruire, per cui occorrerà far sentire musica potente (e meno anestetica) per riequilibrare le ingiustizie.
Samuele: Penso che il “poptimism” non sarà abbandonato. Verrà, semplicemente, declinato in una direzione nostalgica. Sarà – perdonate l’espressione ossimorica – un ottimismo dei tempi passati. Alcuni autori, quelli meno acuti, invocheranno un ritorno al passato, al mondo prima del virus, dimenticando i problemi che aveva. Il “poptimism” più banale proverà a unire il suo innato bisogno di ottimismo a una superficiale celebrazione del mondo prima del virus. Altri autori, più lucidi, proveranno a costruire un futuro diverso. Credo che occorrerà seguire le mosse degli artisti più significativi e rilevanti degli ultimi anni. In tutti gli Stati Uniti – ma anche a Londra, a Parigi – le persone sono in strada a protestare e a manifestare sotto lo slogan di #BlackLivesMatter dopo i tragici fatti accaduti. Alcuni grossi nomi (Beyoncé, Solange, Rihanna, SZA) hanno condiviso i loro pensieri, le loro denunce, i loro endorsement sui social. Altri hanno preferito il silenzio (Kendrick Lamar, Frank Ocean). Credo che sarà molto interessante analizzare i loro lavori successivi al coronavirus e a queste tragedie per capire cosa avranno da dirci.
Carmine: Prendo ad esempio Charli XCX, non perché ne sia ossessionato. Non solo. Sostanzialmente Charli ha deciso di far girare tutto il suo nuovo album attorno a questa situazione. Gli artwork dei singoli sono sostanzialmente tutti “homemade”, nel senso di foto scattate in casa, durante il lockdown.
Le produzioni e i testi suppongo siano in gran parte antecedenti, al massimo sarà stato fatto qualche ritocco, ma il tema centrale è sembrato molto condizionato dalla situazione: si è parlato di amore, di incontri, di voglia di uscire a fare festa, come se fosse una specie di diario di bordo scritto all’interno delle proprie mura domestiche.
Sarà una tendenza generale? Si virerà verso un songwriting sempre più individualista e meno “militante”? Non saprei prevederlo, onestamente.
Paolo : Le canzoni forse parleranno ancor più di amore e di incontri che sarà difficile fare: già prima del virus la generazione degli adolescenti e dei ventenni era abituata a conoscere le persone a distanza e a comunicare con i device, molto meno di persona rispetto alle generazioni precedenti. Ecco, verrà acuito questo distanziamento sociale che già c’era, si sogneranno rapporti che sarà complicato instaurare, si idealizzeranno, e forse ci sentirà ancora più soli.
Parallelamente qualche tematica collettiva forte e sentita si eleverà, ma arriverà solo da artisti eletti e veramente capaci di veicolare messaggi, chi si butterà su quella strada solo per uniformarsi o non sarà realmente sincero, sarà – e la mia è più una speranza – spazzato via.
Marco: Non so se ci sarà gran voglia di parlare d’amore. Credo che la musica che nascerà in questi mesi sarà personale, individuale, in gran parte intima. Sì, oddio, messa così un po’ di spazio per l’amore ci sta. Ma quando dico intima non intendo per forza che sia soffice e leggera, anzi la immagino (coerentemente con gli stati d’animo) anche discretamente aspra e rumorosa. Però, sottolineo, la immagino molto al singolare, come espressione di un sentire individuale, come qualcosa che alla radice ha una visione del mondo che per un tempo lungo ha coinciso con la visuale di una solita finestra o di un solito account. Quindi soggettiva (anche nei tempi) ma anche talmente comune che si apre a margini di condivisione più larghi che mai. Insomma, l’esatto contrario dei balconi di tre mesi fa e delle kermesse degli artisti mainstream tutti in connessione all’unisono.
Samuele: Gli artisti, non solo nella musica, si dovranno adattare in qualche modo a un universo nuovo, che forse aumenterà le collaborazioni a distanza tra membri della stessa band, tra produttori e rapper, tra featuring artists e autore dell’album, fatto che accadeva già prima ma che aumenterà fortemente. Ho l’impressione che le canzoni post coronavirus parleranno molto di cosa significhi scrivere e registrare una canzone durante e dopo il coronavirus. Certi cambiamenti stanno già avvenendo, anche in altri settori. Scorrendo alcune recenti edizioni online di Vanity Fair mi sono imbattuto in servizi fotografici casalinghi effettuati solo grazie a un iPhone, nel caso di Zoë Kravitz, o a Zoom, nel caso di Janelle Monáe. Questo tipo di dinamiche incideranno anche nella musica. Le canzoni parleranno anche di cosa significa isolamento forzato, registrare a distanza, comporre in solitaria o accanto soltanto al/la compagno/a o a pochissimi intimi. Mi piace pensare che ci sarà tanta “metaletteratura”. Credo sarebbe importante.
murales nell’articolo: @Emmalene Blake (ESTR) a Dublino