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Sempre sotto l’egida dell’illuminato Otis Jackson Jr. aka Madlib (producer esecutivo dell’album con Eothen Aram Alapatt aka Egon), il combo conferma la grande ispirazione che lo ha accompagnato in questi anni e praticamente si propone come gruppo simbolo dell’anno 2020, ripetendosi in agosto con un secondo LP denominato “Telemetric Sounds”.
A differenza che il precedente il roster capitanato da Malcolm Catto e Jake Ferguson, le due menti degli Heliocentrics, con questo LP propongono tutte tracce strumentali, anche se non mancano comunque degli inserti vocali di Barbara Patkova. In più ci sono un paio di guest che aggiungono sfumature ulteriori al sound del gruppo, cioè due musicisti eccezionali come Sylvia Hallett all’hurdy gurdy e il sarangi e Jason Yarde al sassofono baritono.
Se tutte le prove precedenti del gruppo sono state convincenti e per quello che riguarda il 2020, “Infinity Of Now” ampliava ulteriormente la gamma delle proposte marcate Heliocentrics, questo LP segna probabilmente il punto più alto e avanguardista raggiunto fino a questo momento. A partire da “13 Degrees of Reality” (Now-Again Records, 2013), il collettivo (che ha mostrato di essere anche un supergruppo di supporto a vari artisti e big, da Mulatu Astatke, Lloyd Miller, Orlando Julius, Melvin Van Peebles…) ha mostrato una crescita esponenziale e ha giustamente ottenuto sempre più riconoscimenti: il primo disco del 2020 era dedicato con ogni probabilità volutamente a una platea più convenzionale, ma questo qui invece è la sublimazione del concetto di fusion e di contaminazione di suoni di Catto e Ferguson e rilancia una sperimentazione con prospettive interessanti e che dà da subito risultati molto convincenti.
Gli Heliocentrics hanno reinventato il jazz e la “kosmische muzik” a modo loro, combinando le due cose assieme, staccandosi da forme modulari del genere e mettendo assieme un patrimonio denso di esperienze musicali avanguardiste e “selvagge” nel mondo della musica da Sun Ra ai Can e la musique concrète. La composizione simbolo dell’album è probabilmente la title-track, la traccia di apertura del disco, una sessione ipnotica di quindici minuti con un set di batteria selvaggio, una chitarra di derivazione math-rock, fiati fantasma, loop di tastiere, basso funky sparato a mille. Costanti per tutto l’album che richiama di volta in volta allucinazioni audio-visive (“Devistation”), trance esotiche acide (“Space Cake”), si propone in un format shakerato spaziale e che riprende persino esperienze estreme come quelle di un sound trasgressivo e frenetico tipo Prodigy anni novanta (“Shattered Mind”) e fino a rituali ossessivi drone e una forma di sciamanesimo avant.
Non solo forse il migliore disco degli Heliocentrics, ma molto probabilmente (anzi sicuramente) uno dei dischi più forti usciti nell’anno. Imperdibile.
82/100
(Emiliano D’Aniello)