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Non sono molto bravo con le classifiche, quindi non saprei dire se i METZ siano il migliore gruppo alternative in circolazione. Sicuramente il trio di Toronto, Ontario (Alex Edkins, Hayden Menzies, Chris Slorach) è quello che più di tutti incarna lo “spirito” storico della Sub Pop Records, al punto da essere stati accostati ai Nirvana di Kurt Cobain a partire dal disco d’esordio nel 2012 . Il solito paragone scomodo che tocca a ogni gruppo che proviene dal continente nordamericano e finisce sotto l’egida della label di Seattle, ma che appare del tutto fuori luogo se consideriamo il ventaglio delle proposte del trio e la loro evoluzione nel corso degli anni.
“Atlas Vending” è in questo senso il prosieguo di un cammino che già con “Strange Peace” (2017) aveva toccato vette altissime e che qui si compie nella definizione di un suono e un approccio concettuale che, pure con dei riferimenti che possiamo cogliere qua e là all’interno dell’album, ci fanno riconoscere l’unicità di questo gruppo e la sua puntualità nel panorama musicale alternative contemporaneo.
Intanto la produzione è di Ben Greenberg degli Uniform, uomo di riferimento nel panorama Sacred Bones. Un musicista e producer che è votato a una certa claustrofobia che condiziona inevitabilmente le sensazioni che derivano dall’ascolto di questo album e che si combina alla perfezione con la ferocia del suono METZ e l’attitudine hardcore Steve Albini (es. “Parasite”) e quella noise più Sonic Youth (“Sugare Pill”) fino a quello che può essere un rinvio agli Shellac (“The Mirror”). Pezzi come “Hail Taxi”, “A Boat to Drown In” hanno un carattere ossessivo e richiamano inquietudini sotterranee, “Pulse” fa pensare persino a un immaginario Suicide. Ma c’è chiaramente anche altro, “No Ceiling” e “Draw Us In”, “Framed by The Comet’s Tail” disvelano il lato più “nirvaniano” dei METZ; il suono dei bassi e la sezione ritmica in generale hanno una ascendenza chiaramente di stampo newyorkese (“Blind Youth Industrial Park”) e tradiscono nevrosi no wave.
Questo qui è uno dei dischi dell’anno. Il migliore uscito per la Sub Pop quest’anno con quello lì più fresco e molto generazionale dei Bully di Alicia Bognanno (“Sugaregg”). Qualche cosa si continua a muovere anno dopo anno dalle parti della Sub Pop Record e succede in maniera discontinua, come è giusto che sia in un contesto che non vuole essere rassicurante ma una vera e propria chiamata alle armi cui si vuole sempre rispondere: “presente”.
85/100
(Emiliano D’Aniello)
foto in home di Norman Wong