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Dopo tre album di assoluto valore, Summertime ’06 (2015), Big Fish Theory (2017) e FM! (2018), il primo dei quali, in particolare, è a tutti gli effetti un disco-simbolo dell’hip-hop statunitense dello scorso decennio, Vince Staples torna con un album omonimo prodotto da Kenny Beats che mantiene quel suono grezzo, a tratti garage e splendidamente “scombinato”, dei suoi lavori migliori. È un album solido e coerente, che forse non colpisce come i primi due lavori ma che dimostra quanto il rapper classe ‘93 sia versatile, coraggioso e talentuoso.
In appena ventidue minuti di durata, stesso minutaggio di FM!, Vince Staples è forse il progetto del rapper californiano più coerente al suo interno dal punto di vista della produzione. I sample distorti, i beat ipnotici e un flow misurato, mai troppo virtuosistico e sempre on point, consentono all’album di procedere con rapidità e scorrevolezza, inanellando un pezzo dopo l’altro quasi senza soluzione di continuità. Non c’è nulla di sperimentale o rivoluzionario, nulla che devii dal percorso artistico e dal marchio di fabbrica di Staples, e questo è in realtà il grande pregio di Staples: aver costruito già solo col suo debut qualcosa di davvero suo.
Se non è un concept album pur nella sorprendente coerenza sonora che mostra, Vince Staples è in ogni caso l’ennesimo, grande affresco di storie personali ficcanti ed esemplari offerto da un autore che ha tanto da dire e lo dice con stile, gusto e la sfrontatezza necessaria per colpire nel segno. Non siamo affatto ai livelli dei primi due album, entrambi magnum opus del West Coast hip-hop dei ‘10s, ma non per questo Vince Staples andrebbe considerato un episodio minore nella carriera del giovanissimo rapper: non lo è affatto.
Sono, come si diceva, la qualità dei beat, il persistente 808s e i testi che paiono continuamente mostrarci i pensieri più privati e le preoccupazioni più forti di Staples che rendono il nuovo progetto valido e accattivante. Anche nella sua breve durata, infatti, il rapper veicola tutto ciò che desidera con la potenza di un treno merci che avanza a tutta velocità. La paura lo assale in “Taking Trips”, dove è proprio il ritmo a completare con efficacia il significato che il testo porta con sé, mentre alcuni versi di “Lil Fade” risultano particolarmente potenti proprio grazie alla produzione intelligente che permette allo storytelling di esplodere in ogni singolo brano. Si tratta di vicende particolarmente cruciali e drammatiche sia nella storia personale di Vince sia se osservate nell’ottica di un ritratto generale dell’universo attuale dell’hip-hop e della vita di tanti rapper americani. Sono narrate, però, in maniera in qualche modo differente rispetto ai lavori precedenti, o comunque in maniera più simile allo stile di FM! che a quello dei suoi primi due dischi. E questo, semmai, certifica la consapevolezza autoriale di Staples.
Il disco, nella sua brevitas, non manca affatto di precisione e qualità sia nel sound offerto da Kenny Beats che nella delivery di Staples. La produzione di Kenny Beats, infatti, sembra cucita su misura alle parole che Staples ha scritto, offrendo così un ritmo energico anche quando la velocità e la risonanza del pezzo sembrano volutamente “strozzate”, ma il risultato finale è spesso brillante, e in tal senso si vedano episodi come “The Shining” e “Are You Okay with That?” che apre il disco. L’impressione che si ha è che con molti di questi brani si potesse “osare” persino di più. Un album, però, non si giudica mai da ciò che avrebbe potuto essere ma da ciò che è, ed è difficile non apprezzare Vince Staples, anche e soprattutto alla luce delle straordinarie doti del suo autore.
77/100
(Samuele Conficoni)