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Ecco un giochino semplice semplice: qual è la canzone che ha colpito di più gli scribacchini finora, quest’anno? E’ un divertissement per scavallare questa primavera, per farci riconcentrare sui nostri ascolti e riportare l’attenzione di qualcuno sui pezzi che ci hanno fatto sognare. Ed è, precisiamolo bene, solo un semplice elenco.
YOUNG GUV, “Good Time”
In un anno nuovamente difficile il pezzo che ho scelto per questo Best Songs So Far affonda come sonorità nella golden age del college rock con i suoi echi di Paul Westerberg e R.E.M. Ben Cook aka Young Guv scrive “Good Time” in piena pandemia, cogliendo la speranza di uscirne dietro agli occhi di una ragazza bella come la natura incontaminata. Ci culla la stessa brezza jangle-pop di quando escono i Teenage Fanclub di “Grand Prix” alla radio. Un’ emozione semplice di cui abbiamo sempre bisogno.
This year my heart hung low
She lifts me through my sorrow
It’s fading day by day
Horizon getting clearer
(Matteo Maioli)
‘NZIRIA, “Pensiero”
Trance, gabber, elettronica – e neomelodico. La mia canzone preferita di questa prima metà del 2022 proviene dall’esordio di ‘NZIRIA, un progetto di Tullia Benedicta, cantante ravennat* dalle origini napoletane. A differenza di alcuni progetti made-in-Naples piuttosto noti usciti quest’anno, “XXYBRID”, il suo primo disco, abbraccia la cultura napoletana in modo sincero tracciando un filo di continuità fra le ritmiche della tradizione folk partenopea (vedi “Hard Tarantella”) fino alla gabber anni ‘90. Il rischio di dipingere una Napoli turistica e pittoresca è sempre dietro l’angolo e ‘NZIRIA ne è ben consapevole, per questo mira allo stomaco e non al cuore:
“[Hard Melodic] è un termine che ho coniato perché volevo racchiudere in maniera semplice quello che volevo fare. Mi piaceva l’idea di superare i limiti per arrivare direttamente alla pancia delle persone. C’è un fil-rouge che collega la musica neomelodica all’hardcore: entrambe sono istintive e sanguigne, vanno a toccare una sfera emozionale che si spoglia di tutte le sovrastrutture intellettuali e razionali per comunicare a livello viscerale”.
“Pensiero” è il secondo singolo tratto da questo album. Nostalgico come il suo dialetto, è un pezzo che sovverte scaltramente il pop neomelodico: il testo narra di un amore struggente, come vuole la tradizione, ma la voce è distante ed eterea; la serenata d’amore a un certo punto finisce e viene frantumata dalla potenza hard dei beat. Se c’è una cosa che arriva della musica di ‘NZIRIA è la volontà, più o meno esplicita, di trasmutare, che l’oggetto di questa ibridazione sia una tradizione musicale canalizzata in una narrazione eteronormata delle relazioni romantiche, o il forte binarismo di genere su cui è strutturata questa tradizione stessa.
(Viviana D’Alessandro)
ROSALìA, “Hentai”
Che Rosalía abbia plasmato un nuovo modo di intendere la canzone pop è una tesi tanto ardua quanto verosimile, ma solo il tempo ci dirà se corrisponde a verità. Scrivo queste poche righe nell’anno esatto in cui la popstar spagnola si prende letteralmente le attenzioni, le orecchie e gli occhi del mondo intero e quindi posso esprimermi per quello che c’è ora: “Hentai” non è solo una delle canzoni dell’anno, non rappresenta solo il climax artistico della sua autrice, ma suona come una detonazione – la si ascolta una sola volta e tutto il resto di quello che chiamiamo “musica pop”, in confronto, ci appare come un ammasso di macerie. Amore, carnalità, consapevolezza del proprio ruolo artistico: “Hentai” è un irresistibile delirio di grandezza. Orgoglioso, illuminato.
(Enrico Stradi)
THUS LOVE, “Inamorato”
Ok, il titolo lascia a desiderare abbastanza. “Inamorato” con quella “n” sola richiama un italiano arcaico “riletto” dal mondo anglosassone e la cosa suona un po’ da cartolina.
Eppure, c’è della magia in questa minuscola, semplice traccia guitar pop di una minuscola band che non ha ancora un album all’attivo e viene da una minuscola località (Brattleboro) del Vermont.
“Inamorato” (e relativo video) trattiene quelle prepotenti spinte che forse solo la “provincia” sa generare (ascoltate la puntata di Kalporz Live del 23 maggio sul tema).
Potremmo dire che “Inamorato” è il centro città visto dall’hinterland, il lavoro finito immaginato da dentro il cantiere, è la vita lì fuori quando la si guarda dalla finestra della nostra convalescenza.
Quello stato emotivo credo che in maniera così nitida lo sapessero raccontare giusto Marr, Morrissey e davvero pochi altri.
(Marco Bachini)
RAVYN LENAE, “Light Me Up”
L’atteso album di debutto di Ravyn Lenae, HYPNOS, non delude le aspettative: l’R&B seducente e smaliziato dell’autrice statunitense è il frutto più compiuto e appetitoso del lavoro che ha svolto fin qui, un percorso che aveva già prodotto tre ottimi EP tra 2015 e 2018. “Light Me Up”, prodotta da Steve Lacy, è una perfetta summa dell’intero progetto, che si prefigge di esplorare le contrastanti sensazioni di una ragazza nei suoi 20s. Il pezzo procede rilassato e sembra lentamente spogliare la narratrice dei metaforici veli che la proteggono mentre prova a esperire un nuovo amore sconosciuto. La voce delicata di Lenae ci ipnotizza e ci convince a seguirla, guidandoci tra le nostre insicurezze, mentre noi restiamo in silenzio. Nella semplicità del suo messaggio, “Light Me Up” è una preghiera erotica cui, volenti o nolenti, finiamo per affidarci. È stata, questa, una scelta sofferta, che ha avuto la meglio per un soffio sul sublime pop lisergico di “Bites on My Neck” di yeule.
(Samuele Conficoni)
KAHIL EL’ZABAR QUARTET, “Drum Talk (Run’n in the Streets)”
“A Time for Healing”: “Un tempo per la guarigione” recita il titolo dell’ultimo album di Kahil El’Zabar, storica figura della scena spiritual jazz di Chicago.
La musica del leggendario multipercussionista, band-leader, vocalist, compositore ed educatore è una cura per davvero, non solo a parole. Il mantra spirituale di “Drum Talk (Run’n in the Streets)” è un brano di rara potenza, scandito da battiti ipnotici e travolgenti che pulsano di poesia, di strada e di soul. Non è quindi così sbagliato dire che un pezzo simile possa guarire l’anima. Ascoltare per credere: «If we use our heads we won’t die in the land of the dead. We’re coming out of the dark side».
(Monica Mazzoli)
WET LEG, “Angelica”
Sarà che piacciono a noi boomer, sarà che sono un po’ leggerine, in realtà è proprio per quello che colpiscono: una leggerezza di cui abbiamo intimamente bisogno unita a un sano scazzo per le preoccupazioni e una innata carica fanno di queste due ragazze che vengono da un buco di mondo, l’isola di Wight, una vera epifania. Perché cantano della loro età, di quando dovresti iniziare a prenderti delle responsabilità (hanno 29 e 28 anni) ma ancora rimandi, ancora ti diverti, ancora porti le lasagne alle feste, come fa Angelica, e dai dei gran “giù da dosso” ai ragazzi che ti tampinano (“I don’t wanna follow you on the ‘gram / I don’t wanna listen to your band”). Arriverà il tempo delle bollette, o se è già arrivato anche un po’ chissenefrega: a voi non piacerebbe poter fare come Angelica?
(Paolo Bardelli)