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Il 19 ottobre 1993 veniva pubblicato “Vs.” (il 12.10.93 un “Early Vinyl”, e questo ha confuso un po’ molti che hanno anticipato l’anniversario, ma il giorno giusto è il 19 così come attestato dal sito ufficiale dei Pearl Jam) e quindi siamo a 30 anni dal secondo disco dei PJ, quello che ha venduto quasi un milione di copie nella prima settimana, quello che ha confermato “Ten”, quello che a distanza di così ancora tempo ci trasmette ancora tanto. Ecco tre scritti molto personali sull’album e un approfondimento sulle canzoni registrate in quel periodo e non inserite nel disco.
Quando usciva “Vs” erano passati solo due anni dal quasi irripetibile “Ten”. In un clima frustrante di aspettative altissime suonava (fin dalla produzione) assai diverso dal primo: meno epico, con meno instant classic, niente videoclip ad accompagnarlo. Eppure, guardato dal 2023, probabilmente “Vs” è riuscito ancora meglio del predecessore: meno bello se associamo la bellezza ad una nitidezza formale, più efficace se gli riconosciamo la ricchezza espressiva che si porta dentro. In fondo “Vs” è contemporaneamente un disco tirato, grezzo, folk. È un lavoro intriso anche di ritmiche funky, che incastra perfettamente le chitarre di McCready e Gossard e che ridefinisce il (ma sarebbe da usare il plurale) suono di Seattle. L’inizio del disco è un uno-due contundente come poche altre partenze: “Go” ed “Animal” in sequenza dichiarano la forza che questa band materializzerà dal vivo negli anni. Le tracce e i differenti registri si alternano sovrapponendosi rapidi, quasi per non farsi mettere a fuoco tanto facilmente. Ci sono pezzi importanti come “Rearviewmirror” e “Daughter” ma personalmente sono ancora più affezionato all’ipnotica e percussiva “W.M.A.” : una specie di mantra politico con un crescendo ritmico che non dà tregua. A proposito di ritmi, chissà se in questo disco avesse potuto esserci alla batteria Jack Irons (come su “No Code”, “Yield” e in un frammento di “Vitalogy”)! Di certo la produzione di O’Brien rende giustizia ai Pearl Jam e Vedder è come se minuto dopo minuto acquisisse finalmente la consapevolezza di che arma è la sua voce. E quella capra in cattività della copertina sembra un po’ come lui che voleva rompere il recinto della sua vita da rockstar predestinata.
(Marco Bachini)
Potrei dire che il mio batterista preferito è Stewart Copeland, ma se mi si estorce un secondo nome aggiungo subito Dave Abbruzzese. E siccome Abbruzzese non ha avuto praticamente carriera dopo l’incisione di “Vs.” e di alcuni brani di “Vitalogy”, lo dico per quello che ha fatto su “Vs.”. Senza togliere nulla agli altri – cioè sono i Vedder, McCready, Gossard e Ament, non ve lo devo mica spiegare io – credo che se “Vs.” è un album che entusiasma lo sia soprattutto grazie alle distruttive e ultraprecise “smazzolate” del batterista, che comunque suonando la chitarra compose “Go” ed è nei credit di tutte le canzoni del disco. Non andavano d’accordo caratterialmente (Vedder lo prese in giro in “Glorified G” per via delle sue pistole), ma a mio parere i PJ non hanno più avuto un batterista così bravo (seppure Matt Cameron sia splendido, è meno estroso). “Vs.” è la rappresentazione dell’olimpo, di quando ti va tutto bene, della piena energia giovanile: se “Ten” era la presentazione incosciente al mondo, qui c’è tutta la consapevolezza di sé e del movimento che rappresentavano, e che sarebbe – purtroppo – svanito naturalmente l’anno successivo con la morte di Cobain. Nessun dubbio, nessun tentennamento, “Vs.” parte alla velocità della luce e rallenta solo un paio di volte per far intravedere la successiva evoluzione folk-sfrigolante di “Vitalogy”, ma è un razzo che non si ferma mai. Nemmeno oggi, dopo 30 anni.
(Paolo Bardelli)
Lavoravo con un ragazzo di nome Bonny, più di 20 anni fa. Simpatico, affabile, rockettaro come me. Per la causa Pearl Jam però, avrebbe dato la vita. Spendeva le sue settimane di ferie in giro per l’Europa per seguire il gruppo di Seattle e sua moglie quasi partorì a Barcellona nel tour di “Binaural”. Un giorno diede apertamente del coglione al direttore tecnico dell’azienda per la quale lavoro, solo per il fatto di non apprezzare la voce di Eddie Vedder. “Non capisci un cazzo, coglione”, disse lapidario. Ora non lavora più con me; dopo due anni il suo contratto non fu rinnovato. Io non riuscivo ad offendere il direttore tecnico (che era un cagnaccio ma aveva un passato da D.J ed era un Vinyl Collector peggio del sottoscritto) perchè ai tempi mi passava (in pausa caffè) qualche disco dei Birthday Party o dei Dinosaur Jr; anche io però adoravo i Pearl Jam e tra me e Bonny la discussione cadeva sempre su quale album fosse il migliore tra VS e Vitalogy.
Lui aveva uno scarafaggio tatuato sul braccio destro. Bug, diceva facesse riferimento al brano “Bugs” che veniva dopo l’immortale “Corduroy”. Aveva ragione nell’affermare che “Vitalogy” contenesse tra le più belle canzoni scritte da Eddie & Soci (“Spin The Black Circle”, “Immortality”) e “Corduroy” era una tra queste, ma io ribattevo sempre con LA CANZONE dei Pearl Jam, o almeno, quella che mi emozionava e che (lo giuro) lo fa tutt’ora: “Rearviewmirror”.
Sentire Vedder in un crescendo urlare “Saw things, saw things, saw things, saw things, Clearer, Clearer, Once you, were in my Rearviewmirror…I gather speed from you fucking with me Once and for all I’m far away I hardly believe, finally the shades…are raised…” mentre la chitarra di Mike McCready si arrampica in cielo, ancora oggi mi fa pensare alla mia giovinezza, alle mie storie passate lasciate correre dietro lo specchietto retrovisore, la possibilità di fuga, di rinascita, di crescita, di consapevolezza.
Per una canzone sola, direte voi?
Si, ma non solo. Vero che il fatidico terzo disco (“Vitalogy”) è sempre l’incognita e il punto spesso più alto di un gruppo, ma dobbiamo ricordare che “VS” arrivò dopo le vendite milionarie di “Ten” (dieci milioni di copie fino al 2013) e avrebbe dovuto provare a scalzare inni quali “Jeremy”, “Alive”, “Even Flow” e “Ocean”. Non sono sicuro abbia venduto più del debutto ma certe canzoni hanno lasciato segni indelebili su tutti i fan del gruppo di Seattle, me compreso.
Il rock tiratissimo di “Go”, “Animal” e “Blood”, l’acustica di “Daughter”, il folk tipico delle ballate a venire (senza miele però, solo sofferenza) di “Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town” e la magia di “Indifference”, che dedicai a mia moglie quando ci sposammo.
“Oh, I will stare the sundown, until my eyes go blind, Hey, I won’t change direction, And I won’t change my mind.”
Non cambierò direzione, non cambierò idea. Ne sulla bellezza di “VS”, ne su di lei.
(Nicola Guerra)
Bonus Tracks
Anche nelle sessions di “Vs.”, com’è naturale, furono registrati brani che poi non hanno trovato spazio nel disco originale e che hanno invece avuto vita autonoma successiva. Croce e delizia che mutano l’intoccabilità di un album, nella reissue rimasterizzata del 2011 furono inseriti tre pezzi “in più”: “Hold On” è una ballatona folk con un bel giro di accordi che fece capire che i PJ erano anche questo e che, forse, il grunge si sarebbe potuto trasformare anche in un folk-movement. Non era così scontato ad ascoltare “Ten”, dove le ballate sono solo un paio, “Release” e, per certi versi, “Black”. “Cready stomp” è invece un’ottima strumentale che dà la possibilità di cantare nella testa, ogni volta, una linea di canto di Vedder diversa: seppure funzioni già solo così, sarebbe stata ancora meglio – ovviamente – con una linea vocale. Infine chiude la ristampa del 2011 la “famosissima” cover dei Pearl Jam della canzone di Victoria Williams, “Crazy Mary”: impreziosita da un’interpretazione vocale confidenziale e strepitosa di Eddie Vedder, “Crazy Mary” si sentiva ovunque in radio negli anni ’90, pur essendo apparsa inizialmente solo nell’album tributo del 1993, “Sweet Relief: A Benefit for Victoria Williams”.
Ma forse non tutti sanno che due canzoni di “Vitalogy” sono state invece registrate nelle sessions di “Vs”, tanto che forse sarebbe più giusto accostarle a questo album piuttosto che a quello successivo: sono “Whipping”, una frustata di 2 minuti e mezzo, e il classicone pearjam “Better Man”. Le cronache narrano che “Better Man” fu inizialmente scartata perché troppo commerciale, troppo “hit”.
C’è poi “Hard to Imagine” che è stata recuperata nel bellissimo album di b-side “Lost Dogs” (2003), una canzone mistica con un ritornello costruito su una scala discendente quasi beatlesiana; “Hard To Imagine” fu in realtà registrata diversamente e pubblicata nella colonna sonora del film “Chicago Cab” del 1998.
Sempre registrata nel 1993 (ma non abbiamo certezza che sia stata nelle stesse sessions di “Vs.”) ci fu anche “Real Thing”, la collaborazione dei Pearl Jam con i Cypress Hill per la colonna sonora di “Judgment Night” (uscito in Italia con il nome “Cuba libre – La notte del giudizio“), un film dimenticabile tranne che per la soundtrack che fu piuttosto mitologica in quanto 10 artisti rap collaboravano con 11 gruppi rock: Cypress Hill rappavano, oltre che su riff dei Pearl Jam, anche sul rumorismo dei Sonic Youth, i De La Soul sulle melodie dei Teenage Fanclub, ma poi c’erano anche Helmet, Theraphy? e Mudhoney. Il sogno della contaminazione tra generi “opposti”, ma questa è un’altra storia. A noi interessava rimarcare come il momento magico di “Vs.” viene dimostrato anche dal livello delle b-sides e delle altre canzoni sparse registrate nelle medesime sessioni di registrazione.
(Paolo Bardelli)