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Un videoclip in heavy-rotation su MTV. Una cantilena (quella di “The people”) che diviene un micidiale hit-single. Ed ora un album omonimo che pare uno strano “clash” tra Jane’s Addiction e Chemical Brothers. Pure l’anagrafe è dalla loro parte: insomma, chi fermerà “La Musica”?
Con i The Music sovente vi apparirà l’idea di avere a che fare con la controparte “rock n’ roll” di quei bambini giapponesi che a cinque anni conoscono l’algebra, a sette sono già laureati in astro-fisica e a dieci sfidano a scacchi contemporaneamente tre campioni del mondo e dieci cervelloni elettronici, vincendo come è ovvio tutte le partite.
Il loro primo album con squisita grafica “optical”, e soprattutto, le loro carte d’identità (età media della band: diciotto anni!) non mentono: questi sono dei veri e propri “mostri”, capaci di manipolare groove e chitarre elettriche alla Jimmy Page come non accadeva dai tempi degli Happy Mondays. Con una differenza: quei teppisti di Shaun Ryder e soci, fin dagli esordi, sembravano già dei veterani dell’eccesso rispetto agli occhietti vispi del singer Robert Harvey, alle gambe cicciotelle del batterista Phil Jordan, alle guance imberbi del chitarrista Adam Nutter o ai brufoli del bassista Stuart Coleman.
Tanto lo so a cosa starete pensando: anche l’Inghilterra ha finalmente trovato i suoi Gazosa o, nella migliore delle ipotesi, i suoi Hanson. Sbagliato, miei cari, perché qua basta ascoltare il tiro di alcuni loro pezzi decisamente “zeppeliniani” (“Take the long road and walk it”, “Getaway”, “Disco”) o di certe atmosfere dilatate (“Human”), per rendersi conto che quella dei The Music è tutta un’altra storia.
Una storia che chiedo proprio a Robert di raccontarmi. Pizzico Harvey-kid, nell’organizzatissimo backstage dell’ “Indipendent Days” di Bologna, mentre va a spasso tra culturisti hardcore e certi personaggi dello ska-core italiota. La maglietta che indossa non lascia spazio a dubbi sulla sua simpatia verso il nostro paese: il colore blu acceso, il vecchio logo della Federcalcio e il 20 sulle spalle riportano alla memoria ricordi emozionanti in questi tempi grami di Vieri e Pippo Inzaghi. “Hey, quella è la casacca di Paolo Rossi!“, gli dico. Lui annuisce contento. Ed io sorrido: quando Pablito demoliva il Brasile al Sarrià di Barcellona, Robert non era neppure nato…
Avete una seppur vaga idea di cosa aspettarvi dal vostro chiaccheratissimo primo album?
“Ci aspettiamo tutto…e niente! Aspettarsi qualcosa di solito è molto deludente in prospettiva di ciò che realmente sarà. Che vuoi che ti dica? Vogliamo parlare di successo, soldi, ragazze? No, ciò che chiediamo al nostro primo album è che vada bene e che ci permetta di produrre altra musica in futuro”.
Il vostro nome ha dell’incredibile: non trovi strano che non ci abbia mai pensato nessuno? Sarebbe come se un regista chiamasse il suo film ” Cinema”…
“Bè, ovviamente abbiamo vagliato anche altri nomi in passato ma nessuno riusciva a dare un senso alla nostra, ehm, “musica” come questo. “The Music”, invece, è così semplice…e ingegnoso!”
Trovo onesto che non abbiate incluso su “The Music” il vostro secondo singolo “You might as well try to fuck me”. Puntate avanti, non state già a crogiolarvi sui successi raggiunti, una mentalità molto sixties la vostra…
“Già, ma ad essere sinceri sull’album abbiamo messo “Too high” che in origine era la quarta traccia dell’EP che hai citato; però la abbiamo anche completamente rielaborata e registrata da capo quindi “The Music” può considerarsi un album di inediti a tutti gli effetti”.
Perdonami la banalità della domanda ma vorrei conoscere i tuoi gruppi preferiti di sempre…
“Eh, ce ne sono tanti…Purtroppo al giorno d’oggi la gente tende ad interessarsi solo alle novità e tralascia i grandi nomi del passato. Io fortunatamente sono cresciuto con Jimmy Cliff e Sugar Otis. Le cose che faceva Micheal Jackson quando incideva per la Motown, erano fantstiche!”
Ti ho fatto questa domanda perché, nonostante la tua giovane età, mi dai l’impressione di essere un gran conoscitore di musica del passato…
“Dici? Bè, in effetti sul nostro tour-bus girano parecchie compilation di reggae, blues, rock n’ roll, jazz ma, sai com’è, restiamo pur sempre dei ragazzi figli della nostra era: pure noi ascoltiamo Chemical Brothers e drum n’ bass, Prodigy e Leftfield… Io, tra l’altro, sono molto intrigato dagli aspetti più underground della dance-music…”
Non leggi quindi riviste britanniche specializzate e nostalgiche tipo “Mojo”…
Spalanca gli occhietti stupiti: “Mojo?! No, assolutamente, sono ancora troppo piccolo”.
A parte la recente data romana di luglio assieme ai Coldplay, so che avete già suonato in Italia. Da perfetti sconosciuti…
“Si, lo scorso inverno a Milano in una serata freddissima. Meno male che il locale (il Rolling Stone, NDR) era molto accogliente e la folla così calorosa. Ricordo anche che il palco era enorme per noi dato che, fino ad allora, eravamo abituati a suonare in scenari molto più contenuti. Mi hai fatto tornare in mente dei bei momenti…”.
Stasera però non suonerete granchè.
“No, ai festival di solito va così. Ci rifaremo il mese prossimo quando torneremo nel vostro paese per tre date nei club dove, forse, proporremo anche qualche nuova canzone…” (a causa di un lutto familiare di un membro della band, i The Music saranno in Italia per una sola data, al Rainbow di Milano il 19 dicembre, NDR)
Raccontami del vostro miglior concerto di sempre.
“Fino ad ora? Facile. Una performance tenuta recentemente in Giappone alle pendici del monte Fuji. E pure al festival britannico “T in The Park” ci siamo divertiti parecchio”.
Vuoi provare a descrivermi “The Music”, l’album?
“Mi è difficile farlo in poche parole. Mi piacerebbe che gli ascoltatori lo esplorassero personalmente. Anche perché questo disco racchiude per me certi significati che a te potrebbero anche lasciare indifferente”.
Hai visto al cinema “Almost famous”? Anche li si parla di un gruppo di belle speranze totalmente intrippato dai seventies: mi siete venuti in mente guardandolo…
“No, non l’ho ancora visto, però a questo punto mi sa che dovrò provvedere”.
Parteciperete anche voi a “1 Love”, il cover-album dedicato dai gruppi di punta del rock britannico odierno al cinquantesimo compleanno dell’ NME?
“No, siamo un po’ scettici sull’operazione e sui gruppi coinvolti. E pure quel magazine non è che ci faccia impazzire tanto da dedicargli un augurio…”
Quanto ti sei già rotto le palle di sentir parlare dei Led Zeppelin? Tutti questi accostamenti tra voi e loro…
“Non lo so. Non penso sia una cosa rischiosa affermare che ascolto da parecchio tempo la band di Robert Plant e Jimmy Page: che posso farci? Mi piacciono! Ma come ti ho già detto i miei gusti sono eterogenei…”
Il tuo cappellino peruviano, quello che sfoggi nel video di “The people” e che indossi pure ora, sta già scatenando una sorta di moda tra i vostri fans…
“Bè, è solo un regalo che mi ha fatto la mia ragazza. Un pensiero, beninteso, a cui tengo tantissimo”.