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“No, my devastation is unique.”
Le storie tristi, come le famiglie devastate, per fare una semicit colta, meritano sempre di essere raccontate.
Mount Eerie è tornato con Now Only, un disco dall’attitudine acustica e dai suoni puliti, di un eterico pieno che si appoggia alle parole del cantautore, che dimostra di essere uno dei più, se non il più, audace della sua generazione.
“Now Only” è un disco musicalmente ineccepibile, che ci fa entrare in una cornice di situazioni che vanno oltre: la musica diventa un vero accompagnamento, non canta amori adolescenziali, ma accompagna in un buio tombale che deve tornare a prendere luce. Una continua e asfissiante ricerca d’ossigeno: Mount Eerie, come Nick Cave, prende slancio da quella totale assenza di senso che è la morte di una persona cara e la trasforma in un qualcosa di più profondo, doloroso e speranzoso (allo stesso tempo) di una preghiera.
Un disco che a livello cantautoriale, nonostante la ritrovata verve del nostro paese, è lontano anni luce per complessità, songwriting e profondità dai lavori dei nostri contemporanei e conterranei.
Il mio ascolto plurimo è comunque superfluo e so per certo, superficiale perché, per scavare questa marea che è Now Only dovrei prendere il 2018 sabbatico da ogni altra recensione.
“Now only”, a differenza di a “Crow looked at me“, è un album rifugio in cui Phil Elverum riesce a intravedere una luce platonica, anche se come aveva spiegato nella traccia iniziale del suo vecchio lavoro: “When real death enters the house, all poetry is dumb”. Il disco dialoga con un superteam di album come quello di Julien Baker, Soccer Mommy e Big Thief perché, anche se la devastazione è unica, personale e con delle sfumature inaccessibili, questi quattro album usciti in tempi piuttosto vicini sono un’ode alla malinconia che riesce a squarciare le tenebre più profonde. In questa melanconia c’è infatti sempre un senso salvifico e non un semplice senso di abbandono.
Nel modo di registrare l’album, addirittura nell’uso dei microfoni, è presente la violenza, la lotta, l’amore che fatica a svanire. Il viaggio intrapreso in questo disco è più lucido, forse consapevole, come possiamo sentire in “Tintin In Tibet”, ma proprio per questo il dolore che sembra rimasto sospeso è uno schiaffo fortissimo.
Prendo in prestito una frase di una scrittrice russa, Tatyana Tolstaya: “Things, as we know, disappear—often under strange circumstances—and they don’t come back”.
I brani sono fedeli, anche nel sound, al tema della scomparsa: spesso i toni, data la lunghezza dei sei brani, cambiano, si mescolano, si accendono e spengono in testi che hanno pochi eguali, almeno in questo 2018.
“Her absence is a scream/Saying nothing”, così tuonava Elverum in un brano bellissimo del suo album precedente: è bellissimo vedere come un autore sia capace di tracciare queste piste ricche di fili rossi, storie che si legano e volti che svaniscono, ma rimangono incastonati in pezzi di album come “Now Only”. In questo disco non conta l’atmosfera acustica o le rapsodie distorte, in alcuni momenti: è di gran lunga più interessante studiare l’uomo dietro un artista che oggi è diventato un punto fermo.
85/100
(Gianluigi Marsibilio)