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Quando si parla di trio, nel rock, ci si riferisce comunemente al triangolo basso, batteria, chitarra, quest’ultima sostituita talvolta, specie in ambito progressive, dalle tastiere. Decisamente più originale e innovativa si presenta invece la formazione statunitense dei TriPod, alla prima uscita discografica sotto l’egida dell’emergente etichetta newyorkese MoonJune, sensibile alla fusione dei generi, dal jazz al prog e ritorno.
Ecco dunque, al vertice del triangolo, ciò che non ti aspetti: sassofoni (alto e tenore), clarinetto e flauto. I fiati di Keith Gurland sanno improvvisare in stile hard-bop, squarciare l’aria in stile quasi free (come nella fulminante “Jerome’s Spotlight” che apre il disco), martellare riff di hard-rock come e meglio di una tradizionale chitarrona, rafforzare la sezione ritmica o costruire un autonomo discorso musicale, assecondati dalla batteria di Steve Romano e dal basso di Clint Bahr, tutti avvalendosi di un pizzico di elettronica che non guasta e rende ancora più inafferrabile questo stile incandescente. La potenza del sax richiama talora i tempi epici di “Saxon” Jackson – targati Van der Graaf Generator – per poi abbandonarli subito, in favore di improvvisazioni prettamente jazzistiche (specialmente “Smoke & Mirrors” e “Fuzz”, improvvisazioni live di studio). Lo stile è solo tangenzialmente accostabile a quello dei King Crimson, perché la musica dei TriPod è meno grandiosa, più calda (merito ovviamente dei fiati) e variegata.
È musica in costante mutamento lungo le quattordici tracce, la prevedibilità non è di casa: una qualità non da poco. Ne ricaveranno belle soddisfazioni sia gli appassionati del rock classico sia gli amanti del jazz: fra esplosioni sonore improvvise alternate a pause meditative (all’interno del medesimo pezzo e fra traccia e traccia, a creare solidi legami), cambi di ritmo continui, assimilazione di stili diversi – “Buzz” è notevolmente jazzistica anche nel canto stile bebop, “World Of Surprise” suona deliziosamente pop-blues-psichedelica alla Cream -, le parti cantate (di Bahr) sempre all’altezza dello strumentale – la tensione dell’ascolto non cala mai, blandita dai lampi di una melodia sofferta e rabbiosamente emergente al di sopra della base ritmica (splendida in questo senso “Fashion”). Musica eretica nel senso migliore del termine.
Il disco è acquistabile su www.moonjune.com