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“Different Class” è un disco che non tradisce le attese sin dal suo titolo.
Apice di una serie di album, gli altri sono “His ‘n’ Hers” e “This is Hardcore”, capaci di riassumere un intero movimento quale è stato il brit-pop. Vincitore del Mercury Prize in un anno in cui ad andare per la maggiore era un altro gruppo, è un lavoro straordinariamente vario sia musicalmente che tematicamente e che pesca tra la metà degli anni Sessanta e i Settanta, dall’emersione del beat con i Kinks (in “Mis-Shapes”) all’apoteosi disco degli Sparks (“Disco 2000”), nel mezzo il glam di Bowie (“Underwear”) e addirittura lo ska reggae (“Monday Morning”).
I fattori casa discografica Island Records e Chris Thomas in cabina di produzione completano il quadro: “Different Class” rappresenta allo stesso tempo speranza e decadenza, eccesso e disillusione, cocaina e antidepressivi, Jarvis Cocker e Michael Jackson. So, Happy Twenty.
“Rent a flat above a shop, Cut your hair and get a job. Smoke some fags and play some pool, Pretend You never went to school. […] You’ll never live like Common People, You’ll never do what Common People do, You’ll never fail like Common People, You’ll never watch your life slide out of view, And dance and drink and screw, Because there’s nothing else to do.”
Matteo Maioli
Sono nato all’inizio del 1990 e la mia lettura di quel decennio è arrivata irrimediabilmente e comprensibilmente molto dopo la sua fine reale. Personalmente reputo gli anni ’90 davvero ineleganti, nei quali la ricerca estetica e l’estetica ricercata facevano molta fatica ad imporsi come canone artistico. Forse è proprio per questo motivo che i Pulp mi hanno sempre incuriosito: i barocchismi pop, quel modo di proporsi al mondo così teatrale e poetico, inconsueto e straniante. “Different Class” è il disco che condensa in dodici brani tutto il loro universo musicale, tra la smaniosità delle hit come “Disco 2000” e “Common People”, fino ai momenti ad alto coefficiente drammatico-patetico (in senso teatrale) come “f.e.e.l.i.n.g.c.a.l.l.e.d.l.o.v.e”, che fanno del frontman Jarvis Cocker il cantore pop di tutta quella schiera di outsiders sociali: la different class che si vede anche in copertina, e che negli anni ’90 non riusciva a trovare voce, in quegli anni così poco eleganti.
Enrico Stradi
Difficilmente i singoli di lancio di un disco ne rappresentano al meglio i contenuti e le sonorità. “Common people” è l’eccezione che conferma la regola: esempio quanto mai calzante della poetica di Jarvis Cocker e del pop, figlio degli anni ottanta, che caratterizza la scrittura del gruppo. Gli altri brani dell’album, infatti, nati in un periodo successivo, ne seguono lo stesso canovaccio compositivo: su arrangiamenti eleganti, suggestioni glam si snodano racconti dalla natura ironica e malinconica e con, talvolta, un fascino ambiguo. Tra gli episodi più belli: “Sorted for E’s & Wizz” e “Bar Italia”. Piccoli quadretti della E Culture, la cultura dello sballo dei primi anni novanta.
“Sorted Dir E’s & Wizz” tratteggia con uno sguardo satirico l’assunzione di Ecstasy (la E del titolo) e Wizz (lo speed) :
And you want to phone your mother and say,/ e vuoi telefonare a tua madre e dirle
‘Mother, I can never come home again,/ “Mamma, non potrò mai tornare a casa
‘cause I seem to have left an important part of my brain somewhere/ perché mi sembra di aver lasciato da qualche parte una parte importante del mio cervello
Somewhere in a field in Hampshire ‘ / da qualche parte in un campo ad Hampshire‘
“Bar Italia” è una descrizione realistica dello stato confusionario ed instabile del consumatore di sostanze stupefacenti:
Oh, let’s get out of this place/ Oh, vai via da questo posto
Before they tell us that we’ve just died/ Prima ci dicano che siamo appena morti
move, move quick, you’ve gotta move/ muoviti, muoviti velocemente/ ti devi muovere.
I Pulp si affermano quindi come narratori schietti della società inglese. Testi, per certi aspetti, personali che sanno esseri universali: i “ Mis-Shapes” (i disadattati) di Sheffield che fanno la rivoluzione e la vincono.
Monica Mazzoli