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E’ dura la vita degli appassionati di musica, eh. Sei lì che ti propinano tutti i giorni la stessa minestra riscaldata, l’ennesimo clone dei cloni, poi quando arriva finalmente sul tuo lettore cd un gruppo esordiente che suona finalmente personale, lo ascolti, lo riascolti, e non ne sei soddisfatto lo stesso.
Eh. E’ proprio dura.
Gli Stateless hanno tutte le carte per piacere, e comunque sorprendono perché tirano fuori una loro matrice nonostante i riferimenti, ovviamente, ci siano: un giusto mix di pop elettronico alla Moby con le melodie (e la voce) dei Coldplay e le batterie alla Dj Shadow (che infatti se li è portati in tour e ha fatto cantare Chris James in un brano, “Erase You”, del suo ultimo album “The Outsider”). E poi: il produttore è Jim Abbiss, vi dice qualcosa questo nome? Beh, da ultimo è stato il primo produttore degli Arctic Monkeys… intesi, no?
Un agglomerato di informazioni che ci dicono tutto e il contrario di tutto. Tra l’altro, tanto per complicare ancora le cose, gli Stateless sono inglesi di Leeds come i Kaiser Chiefs ma li ha scoperti l’etichetta tedesca !K7 specializzata in elettronica. Deviazioni che si incontrano.
Questo loro primo album omonimo ha un potenziale commerciale enorme, la voce di Chris James potrebbe far innamorare più di una fanciulla come fece Chris Martin e come, prima di lui, fece quell’angelo di Jeff Buckley, e basta ascoltare il ritornello di “Bloodstream” per capirlo. Però la tensione commerciale finisce per appiattire tutte le idee che indubbiamente ci sono. Sarà che personalmente non si ama molto l’anima soul che qua e là fa capolino nelle traettorie melodiche, sarà che non c’è un chitarrista, saranno tante cose ma qui non siamo riusciti ad appassionarci.
Ci sono comunque robe notevoli: le batterie, tanto per iniziare, davvero possenti, sincopate, lavorate, in cui ci dev’essere lo zampino di Dj Shadow, appunto. E poi il binomio finale, quelle “Blucetrace” e “Inscape” dove sgomita il mood trip-hop e atmosfere definitivamente scure sovrastano quelle finte malinconiche degli altri brani. Sembra quasi che ritornino i migliori Massive Attack, che per noi sono quelli di “Mezzanine”, mischiati con quello che timidamente hanno abbozzato i Cooper Temple Clause nei primi due lavori (non toccate quella monnezza che è il loro ultimo “Make This Your Own” uscito quest’anno, però). E’ liberatorio affidarsi anima e corpo a queste due canzoni, lasciate incredibilmente in ultimo o, meglio, lasciate volutamente in ultimo che lì non aleggia l’animo mestamente catchy ma solo quello da beautiful loser.
Per il resto non saremo noi a dare un giudizio definitivo sugli Stateless, che sono come cinque simpatici ragazzotti seduti su un quintale di fuochi d’artificio. Bisogna solo vedere se riusciranno a farli detonare per i nostri occhi o se si bruceranno solamente il culo.