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Non sparate sugli Interpol. Si è aperta una strana caccia a Banks e soci, per cui quest’invocazione è necessaria come moderni animalisti a tutela delle “povere bestie” newyorkesi. L’ultimo album omonimo è stato massacrato dalla critica a destra e manca ma non si sa bene il perché, sembra solo sia cambiato il vento come se fosse una questione di mode e ci si sentisse legittimati di decretare la fine della moda Interpol.
Che gli Interpol dimostrassero da tempo di essere piuttosto fermi da un punto di vista evolutivo era chiaro fin da “Our Love To Admire” e soprattutto dai live assolutamente noiosi (da ultimo si può citare quello di Ferrara del 2008). Ma gli Interpol sono gli Interpol, per cui non si può incensare i primi due dischi e criticare l’ultimo solo perché sono ancora lì a scrivere gli stessi pezzi.
“Interpol” (il disco) ripropone la classica estetica della band cristallizzata e che conosciamo bene, e la ripropone certo con alti e bassi, con canzoni più o meno riuscite, ma lo fa in piena coerenza e in alcuni punti con immutata chiarezza espositiva. Il basso di Carlos Dengler è ancora presente (il bassista però è uscito dal gruppo dopo le registrazioni) ma sembra già sia in partenza e diventa meno palpabile, per cui tutta la responsabilità dei riff che aprono i pezzi rimane in capo alle chitarre di Kessler e Banks che se la assumono con semplicità e senza idee stratosferiche, ma nella più piena funzionalità. Esempio tipico nel brano di apertura “Success” in cui la chitarra segue pedissequamente gli accordi con note singole senza una variazione che sia una. Le canzoni però hanno spessore, o almeno ricreano la ben nota atmosfera claustrofobica e debitrice dei Joy Division che tanto ha fatto la fortuna di “Turn On The Bright Lights”. Se vogliamo essere più precisi, “Interpol” segue da vicino “Antics” – album sottovalutato e a parere del sottoscritto più completo del primo – e ciò è evidente nella seconda “Memory Serves”. In “Summer Well” c’è il primo “esperimento” (per modo di dire) che ha risultati agghiaccianti: il pianofortino d’apertura suonato come una comare britannica fa letteralmente sganasciare dalle risate, ma basta arrivare al minuto 1:00 e il brano svolta in un bellissimo ritornello che fa dimenticare d’acchito quel pianoforte da elementari. “Lights” e “Barricade” sono invece i pezzi che il gruppo aveva fatto trapelare online quest’estate e qui non ci sono remore: potrebbero stare benissimo in uno dei primi due album senza timori di sorta. Belli. Bravi.
Il “lato b”, non quello che ormai si pensa quando si usa quest’espressione (quanto siamo massificati…), ovvero i brani che vanno dal numero 6 al 10, perde un po’ di smalto soprattutto “Always Malaise” e “All Of The Waves” che sono momenti evitabili, bisogna dirlo, a cui fa da contraltare una “Safe Without” dal riff che si stampa nel cervello e dalla batteria incalzante. “The Undoing” chiude poi il tutto dicendoci chiaramente che “Interpol” è un disco sicuramente incompleto, in cui manca qualcosina, eppure fatto con passione e che non può non piacere a chi ha amato le precedenti prove dei newyorkesi. Dell’artigianato da bottega troppo levigato: quando gli Interpol capiranno che – ormai – possono lasciarsi andare, sarà tutto più facile.
Nell’attesa, andiamo a firmare il modulino per la loro tutela al WWF.
(Paolo Bardelli)
Collegamenti su Kalporz:
Interpol + dEUS – Concerto a Piazza Castello, Ferrara (15.07.2008)
Interpol + Blonde Redhead – Concerto a Sashall, Firenze (12.11.2007)
Interpol – Our Love To Admire
Interpol– Concerto al Vox (Nonantola – MO) (17.04.2005)
Interpol– Antics
Interpol– Concerto al Transilvania (Milano) (14.04.2003)
Interpol– Concerto al Rolling Stone (Milano) (01.11.2002)
Interpol– Turn On The Bright Lights
18 settembre 2010