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I danesi When Saints Go Machine ci riprovano e pubblicano un secondo disco, dopo le reazioni positive suscitate dall’esordio di “Ten makes a face” e dal più recente ep “Fail forever”. La nuova fatica, intitolata “Konkylie”, ripercorre a grandi linee i territori già esplorati dal suo predecessore. Pubblicato dall’etichetta !K7, “Konkylie” viaggia prevalentemente su raffinati territori sonori di stampo electro-pop, riuscendo a creare una miscela stilisticamente raffinata e varia. Di contro però è come se questo nuovo lavoro non riuscisse a proporre nulla di nuovo ma al contrario riciclasse soluzioni sonore già sentite. Una pesante pecca, anche perché il disco, soprattutto per questo motivo, appare a tratti abbastanza stucchevole. Le parti vocali ricalcano pedissequamente lo stile soul cantautorale che ultimamente è tornato in auge, dal “pioniere” Anthony & the Johnsons fino ad arrivare alla voce del giovane crooner James Blake. Le ritmiche dei brani sono per lo più orientate verso il downtempo, dando vita a un disco d’ascolto anche se da suoni piuttosto vari.
Il problema di “Konkylie” è che si presenta con un ottima veste “esterna”, ben rifinita e senza difetti, ma che una volta scartata rivela una pochezza di contenuti piuttosto marcata. Quasi come se il gruppo danese abbia cercato il facile “compitino” con questo nuovo album. Lo si nota subito già dalla lunga e avvolgente title track, in apertura di disco. “Konkylie” inizia a scorrere fluido attraverso le lente “Church and law” e “Chestnut”, con il suo sound gradevolissimo ma, obiettivamente, senza sussulti. Non esiste nel disco un passaggio, un momento, un qualcosa che rimanga in mente alla fine dei suoi dieci brani. Ed è un peccato perché i When Saints Go Machine paiono assolutamente in grado di andare oltre, e di staccarsi da cliché musicali preconfezionati. Un po’ come quegli studenti che “potrebbero dare di più” e puntano a sfiorare la sufficienza.
59/100
(Francesco Melis)
7 settembre 2011