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“Il punk è morto”.
Penso che questo epitaffio, più o meno ripetuto come una benedizione papale, possa essere assunto da tutti per vero, eppure c’è chi trova poetico e esteticamente appagante celebrarne la morte, ancora una volta.
Celebrare un funerale può essere struggente o estremamente poetico, dipende dal vostro grado di disturbo mentale e dal modo in cui la vostra professoressa al liceo ha trattato il decadentismo. Personalmente sono cresciuto musicalmente con i Baustelle e allora capite bene quanto riesca ad apprezzare una cerimonia funebre ben fatta.
In operazioni come “Beyondless” degli Iceage c’è sempre qualche aspetto goffo e paradossale eppure il quarto disco della band danese sposta il discorso su un altro punto di vista. Un lavoro del genere ci fa capire infatti quanto può essere interessante celebrare e prendere parte a un funerale senza essere realmente invitati. La maestosità e l’ambiguità è tutta nel sentirsi estraniati dalla morte e non pienamente consapevoli del dolore. Gli Iceage, come i due protagonisti in “Restless” di Gus Van Sant, si sono infiltrati e hanno dissacrato un funerale che più o meno dura da decenni: quello del punk.
L’estetica della band è tutt’altro che punk, anzi gli Iceage come dei buoni beccamorti sono riusciti a curare tutti gli aspetti del funerale. La loro presenza scenica è molto hollywodiana e ha poco da spartirsi con i nobili padri del loro genere. Alla cerimonia hanno invitato parenti più o meno stretti come Iggy Pop e Richard Hell, che più volte ha parlato dell’album. Hell addirittura ha pubblicato uno di quei pampleth online tanto efficaci e apprezzati dai nerd come me. Iggy ha definito il suono della band come qualcosa con una certa “pericolosità”, ma cosa c’è di talmente “dangerous” in “Beyondless”?
Probabilmente non si tratta semplicemente della sua estetica macabra o dei racconti lynciani impostati da Rønnenfelt, leader super scenico della band. Il vero quoziente di rischio si nasconde tutto in una potenza evocativa che ti risbatte con prepotenza nella cameretta con le depressioni e le loro oscurità. Attenzione: “Beyondless” non è un disco che coltiva retromanie o strane pulsioni da nostalgicone del rock. È infatti schietto, diretto, onesto e compulsivo e quando il post-punk viene fatto con un’attitudine così curata, tutti abbiamo l’imperativo morale di trasformarci e misurarci con queste oscurità.
I suoni sono freschi e funerei, le rapsodie di trombe in “The Day the Music Dies” o “Pain Killer”, pezzo interpretato anche dalla meravigliosa e ritrovata Ski Ferreira, tirano fuori il lato più profondo e ancestrale della loro attitude. “Plead the Fifth” e “Catch It” sono i perfetti spartiacque del disco che riesce a consacrare la band. L’incoronazione non è semplicemente una questione sonora: infatti in questi anni di attesa da “Plowing into the field of love”, gli Iceage sono stati capaci di sviluppare un’estetica convincente, che riesce a catturare e allo stesso tempo dividere. La tempra della band è quindi assolutamente punk e rifiuta le sirene democristiane, e poco incisive, da cui è attratto il rock contemporaneo.
“Beyondless” è energia da assorbire e respingere continuamente. Mentre nel mondo del rock domina un’estetica dettata da Papa Francesco, finalmente si è sprigionata un pochino di cattiveria sana e creativa.
Il disco con brani come “Take it All”, con la sua atmosfera aperta e orchestrale, o “Beyondless”, ha la potenza di farci uscire dalla stanzetta 4×4. Oggi finalmente riusciamo ad andare contro il tappeto del vicino, stronzo e troppo attento ai rumori, e pisciarci sopra. Una rissa sarebbe l’ultimo mio tentativo di riportare un pochino di punk in questo condominio.
Non so se un disco come “Beyondless” sarà l’ultimo funerale ben riuscito del rock, tuttavia spero che Rønnenfelt continui a indossare i panni dell’araba fenice che allo stesso tempo brucia, uccide e fa rinascere il punk.
85/100
(Gianluigi Marsibilio)