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Ricomincio da tre. The Drums, a qualche mese di distanza dall’uscita del loro album di debutto, hanno dovuto fare i conti con una piccola rivoluzione interna. Complice principalmente l’uscita dalla band del chitarrista Adam Kessler, che ha lasciato il gruppo nel settembre del 2010. Per questo motivo e anche per contrasti artistici (che, secondo quando dichiarato dai componenti del gruppo, li hanno quasi portati allo scioglimento) la lavorazione del secondo disco “Portamento” è stata assai travagliata.
The Drums, invece di cercare e di integrare un nuovo chitarrista, hanno optato in questo nuovo lavoro per una soluzione “casalinga”, dividendosi i ruoli. Jonathan Pierce, Jacob Graham e Connor Hanwick hanno dato così vita a un disco lievemente meno solare del precedente, con un massiccio uso di batteria elettronica e synth. La natura che la band ha mostrato nell’ep “Summertime!” e nell’esordio omonimo non viene comunque completamente snaturata. Anzi forse in “Portamento” i riferimenti agli Smiths e a Morrissey (soprattutto per l’approccio vocale di Jonathan Pierce) vengono fuori in modo più netto, quasi a sottolineare quell’atmosfera un po’ malinconica che aleggia in tutto il disco. E diciamo anche che questo nuovo disco ci mostra come la band di Brooklyn sia in grado di mettere in musica emozioni, ma mai urlate e sempre soffuse. Un po’ come se cercasse di esprimere stati d’animo vaghi, poco definiti.
“Portamento” non pare avere al suo interno singoloni alla “Let’s go surfing”, ma la qualità dei dodici brani che lo compongono è senza dubbio alta. Il primo singolo “Money” è un classico brano alla The Drums, con il classico “ritornello killer” a cui i tre musicisti americani ci hanno abituato. Tuttavia colpisce in particolare un certo minimalismo strumentale di alcuni brani come le iniziali “Book of revelations” e “Days” o il tappeto di synths di “Searching for heaven”. Piccole novità e lievi cambiamenti rispetto al passato, ma tangibili. E’ come se in “Portamento” The Drums avessero preferito “svuotare” il suono anzi che arricchirlo, lasciando intatte le parti melodiche, accentuate dalla voce di Pierce. Il gioco pare funzionare bene se si ascoltano pezzi come “What you were”, da tempo suonata nei live del gruppo, e “Hard to love”.
72/100
(Francesco Melis)
21 ottobre 2011