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È uscito, è finalmente uscito! È il nuovo lavoro dei Pearl Jam! Dopo due anni di silenzio ritorna sulle scene il gruppo rock più affiatato e tecnicamente valido degli anni ’90! (il primo album è del 1991 se qualcuno non se lo ricordasse) Nove anni dunque all’insegna del rock nel senso più completo del termine.
Se nelle previsioni la data di uscita era stata fissata per la fine di Maggio (intorno al 23 circa), in realtà Eddie Vedder e soci hanno lanciato sul mercato il disco con un discreto anticipo ( io l’ho visto nei negozi quasi una settimana prima e tutto questo anticipo fa certo pensare). Forse, a parer mio, c’è stata un po’ di preoccupazione per le vendite in quanto il disco era già disponibile in rete su diversi siti e facilmente scaricabile.
E qui volendo si potrebbe dar voce ad una provocazione su quanto sia più o meno giusto offrire la possibilità a chiunque munito di un computer di ascoltare musica senza pagare una lira (bolletta telefonica a parte, ovviamente).
Ma torniamo all’argomento principale. Non ho alcuna remora nel dire che questo disco NON mi ha convito del tutto ad un primo ascolto. E non nego di essere rimasto anche profondamente deluso. Poi ho pensato alla musica di oggi e al “bellissimo panorama musicale odierno” (è ironia questa se qualcuno non l’avesse capito!). Non si può criticare un lavoro come questo, sebbene non eccezionale. Forse il fatto che il produttore dell’album non fosse il mitico Brendan O’Brien (produttore anche dei Red Hot Chili Peppers, degli Stone Temple Pilots e di molti altri) ma un certo Tchad Blake potrebbe aver influito su certe decisioni musicali. Ci sono indubbiamente influenze psichedeliche in alcuni pezzi (vedi “Nothing as it seems”, “Of the girl”) quest ‘ultima ricorda tra l’altro come stile “Aye Davanita” contenuta in “Vitalogy”, loro terzo album. Gli assoli di chitarra di McReady non staccano la parte cantata come di solito ma accompagnano spesso la magnifica voce di Eddie a sottolinare una maggior coralità strumentale. C’è in generale comunque una sempre più maniacale cura nella registrazione e nella perfezione del suono, che toglie forse qualcosa alle canzoni in originalità e genuinità. Le prime tre tracce, per esempio, (“Breakerfall”, “Gods’ dice” ed “Evacuation”) si compenetrano l’una nell’altra ad un ritmo indiavolato senza lasciare respiro e quasi senza far capire all’ascoltatore dove finisce una e inizia l’altra, ma comunque non aggiungono sicuramente niente di innovativo. Forse il difetto principale dell’album è proprio una sequenza non proprio azzeccata delle varie canzoni.
Interessante e di grande prestigio in quest’album invece è “Light years”, forse la più bella e la più originale come sonorità, ma anche “Grievance” in puro stile Pearl Jam, molto ben suonata e con un ritmo molto incalzante e coinvolgente.
Curiose anche nella loro stranezza “Sleight of hand”e “Rival”. Dolcissima e stupenda è invece “Thin air”, classica ballata alla “Nothingman”. Spettacolare l’ultima traccia “Parting ways” con viole e violini a suggellare un’atmosfera quasi sognante.
In definitiva, comunque, direi che è un album che a parte poche canzoni, non dà e non toglie niente a quanto di buono i Pearl Jam hanno già fatto fin ora, ma che confrontato con la musica rock contemporanea si erge come un capolavoro assoluto nel suo genere.
Breakerfall voto: 6
god’s dice voto: 6+
evacuation voto: 5
light years voto: 7 1/2
nothing as it seems voto: 6 1/2
thin air voto: 7
insignifance voto: 6 1/2
of the girl voto: 6+
grievance voto: 7/8
rival voto: 6 1/2
sleight of hand voto: 6/7
soon forget voto: 6
parting ways voto: 7/8
I voti sono basati come metro di giudizio non solo sull’album in sé ma sui lavori complessivi dei Pearl Jam.