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La scintillante volta celeste della musica pop continua ad assistere indifferente alla nascita e alla morte di stelle e stellette dalle sorti molto differenti.
Alcune di queste stelle sono destinate a spegnersi nel giro di una breve stagione; altre, invece, attraversano intere epoche, mode e stili diversi, rimanendo comunque sempre uguali a se stesse.
Una di queste stelle è quella di David Bowie, musicista che ha fatto del cambiamento e dell’evoluzione artistica (qualche maligno potrebbe parlare di “riciclaggio”) la propria bandiera. Proprio per questo motivo, ogni opera di Bowie costituisce un fotogramma di un lungo film in costante avanzamento. Uno di questi episodi parla proprio di un “uomo delle stelle”, giunto tra gli uomini per diventare un idolo del rock destinato all’autodistruzione e all’annientamento.
“The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars” è la splendida testimonianza dell’incarnazione di Bowie in una delle sue folli visioni di arte totale; la musica si sposa con il teatro, il cinema, le arti visive. L’impresa di rivestire Brecht di lustrini e paillettes si rivela irrevocabilemente kitsch, ma ciò che rimane è l’intensa energia e freschezza compositiva che esce da questo disco. Ogni canzone costituisce un piccolo classico del rock, e ogni canzone costituisce un prezioso tassello di questo “concept album” dai contorni inquietanti.
Il brano d’apertura “Five Years” descrive con vivide immagini la condizione malata dell’umanità, avida di un nuovo messia da immolare; lo trova in questo strano essere proveniente da un altro mondo, dai tratti androgini e ambigui. In “Moonage Daydream” Ziggy Stardust è pronto a gettarsi tra le braccia dei suoi carnefici adoranti: “I’m an alligator, I’m a mama-papa comin’ for you / I’m the space invader, I’ll be a rock’n’roll bitch for you / Keep your mouth shut / you’re squawking like a pink monkey bird / and I’m busting up my brains for the words”. Ziggy Stardust/David Bowie diventa così una star del rock e portabandiera di quel malessere generazionale che porta a ribellarsi contro ogni cosa: la società, la scuola, i genitori, perfino il proprio stesso sesso.
Bowie, nei suoi concerti-rappresentazioni riesce a portare in scena perfettamente la spiazzante ambiguità di questo personaggio e i peggiori incubi dei genitori inglesi. Ad accompagnare Ziggy nelle sue carnevalesche esibizioni ci sono gli “Spiders from Mars”, gruppo assolutamente immaginario all’interno del quale spicca la chitarra realissima del mai compianto abbastanza Mick Ronson, chitarrista non eccezionalmente dotato tecnicamente, ma con un gusto decisamente invidiabile; sue anche le parti di piano nella bellissima “Lady Stardust”.
Ma come molte delle tante stelle del pop, anche Ziggy Stardust è destinato alla fine. In “Ziggy Stardust”, canzone omonima, lo strano essere comincia ad essere schiacciato dalla propria celebrità e dal proprio ego. La conclusione naturale è un “suicidio del rock and roll”; “Rock and roll suicide” è il brano con cui si chiude questo grandissimo disco, e la canzone con cui il 4 luglio 1973 David Bowie in occasione del concerto all’Hammersmith Odeon toglie definitivamente di scena Ziggy Stardust, creatura bizzarra ed effimera, nata dal genio di un artista la cui stella brillerà ancora a lungo.