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a cura di Marco Bindocci, Giovanna, Federico Olmi, Elena Guarneri, Angela Falciano, Stefano Folegati
Ferrara, 21-27 agosto 2000
Il Ferrara Buskers Festival è una manifestazione unica. Qui da 13 anni centinaia di artisti di strada arrivano da tutto il mondo con i loro strumenti, i loro sorrisi e parecchia voglia di suonare e farsi conoscere. Per una settimana la splendida ma sonnacchiosa città estense si riempie di suoni, gesti, volti e colori.
Noi di Kalporz quest’anno siamo andati in giro per le piazze, le strade e i vicoli per convincervi che il prossimo anno non potete proprio mancare.
IL MONDO IN UNA CITTA’
di Marco Bindocci
L’ultima domenica di agosto la banda di Kalporz non ha dormito. Si è lanciata in una trasferta regionale per essere presente all’evento musicale dell’anno (a livello europeo!): la giornata del gran finale di quella settimana (dal 21 al 27 di agosto) che ha visto per la tredicesima volta la splendida Ferrara giocosamente invasa da una miriade di folli, folletti, pazzi geniali, macchiette, suonatori, comici, clown, poeti, pittori, ma soprattutto fior fior di musicisti. Questo campione di varia umanità sono gli artisti di strada o, in una parola, i “buskers”.
Dopo una classica pizza in compagnia, il popolo di Kalporz, nelle prime ore del pomeriggio, ha visto la solita Ferrara: una città suggestiva, accogliente, pulita, ma sempre con quell’aria un po’ neghittosa, pigramente sonnecchiante; un posto tranquillo, insomma, quasi palloso, a dirla tutta…
Ma poco dopo le 17 avviene la magia. Un castello immenso, poderoso, circondato dall’acqua del suo fossato diventa il simbolo di una corte, una reggia-città che si riempie in pochi minuti di una rutilante quantità di menestrelli, cantastorie, trovatori e giullari di tempi passati e di epoche che devono ancora venire. La fiaba va prendendo forma: questa sarà una di quelle giornate da ricordare con calore nelle fredde sere del prossimo inverno.
Ci lasciamo trasportare dalle note, dall’istinto e dalla folla (che comincia a materializzarsi sempre più numerosa) per scovare il gruppo migliore, l’artista più originale. Ma sono tutti dannatamente bravi, sorprendenti. Sotto un cielo coperto, ma ancora indulgente, che sopra a queste melodie mi ricorda un vicolo praghese, una cittadina olandese visti chissà quando, chissà con chi, infiliamo via del Saraceno. Sembra vuota, più calma, ma il richiamo della musica non lascia dubbi. All’angolo, di fronte alla facciata di una chiesetta, stanno dando spettacolo i “Ginkobiloba“, sei amici francesi pieni di talento ed euforia contagiosa.
Più tardi c’imbattiamo in un formidabile trio di pseudorussi commedianti-strumentanti-strabilianti: sono “The Incredible Jashgavronsky Brothers“, che riempiono sempre di pubblico il cortile in cui si esibiscono conquistando vecchi e bimbi fino all’ultima risata.
E poi si passa per Piazza Castello, dove intrattengono i “Kronwerk brass“, quintetto di ottoni composto da musicisti diplomati al conservatorio di San Pietroburgo, la più prestigiosa scuola musicale russa. I buskers di Ferrara hanno infatti le provenienze e le formazioni più disparate: autodidatti, ex liutai, figli d’arte, figli della strada o persino diplomati.
Per via Mazzini passiamo di fronte a due formazioni lontanissime per spirito, tecniche e suoni: i finlandesi “Aura“, con violino e cetra, e gli “Hell’s kitchen“, trio ginevrino che suona diavolerie banali e dalle sonorità insospettabili come secchi, pentole, molle…Sono mille le anime della strada: impossibile non trovare a Ferrara la musica dei propri sogni.
E infatti, rispetto agli artisti, che vengono da ogni parte del mondo, il pubblico non è meno vario: studenti, pensionati, stranieri dal volto rubicondo e bambini che guardano sbalorditi, bocca aperta e dito nel naso. L’apoteosi dell’idea che la musica (a differenza di religioni o politica) possa unire sempre la gente, si compie qui, oggi, a Ferrara.
Ormai scende la sera ma il carnevale stenta a cessare e così riafferma i suoi paradossi, le sue contraddizioni, la sua incredibile varietà: mentre da un lato un carillon umano con ballerina e pianista (sono i “Ita-lento“. Bella trovata, ma il talento del pianista dov’è, visto che mima su una base?) ci sfiora con il loro languore romantico, appena qualche metro più in là trionfa invece il comico casereccio di due piedi-burattini-ballerini….
Questo è stato il mio primo Festival Buskers, e adesso già so cosa farò l’ultima settimana di agosto dei prossimi anni della mia vita. Complimenti a tutta l’organizzazione, al direttore artistico Stefano Bottoni e a quello organizzativo Luigi Russo.
Mentre in stazione aspettiamo il treno del ritorno, mi guastano un poco la soddisfazione due domande inquietanti:
1) se questa era ben la tredicesima edizione del festival, quante accidenti me ne sono perso? Ma soprattutto: perché? Non fate come me: non accumulate tanti rimpianti facendovi sfuggire i buskers…
2) perché le città italiane stentano a riempirsi di musica anche durante l’anno? In altri paesi europei i portici e le piazze sono vivi e risonanti senza il bisogno di avvenimenti straordinari come quello ferrarese. A Kalporz, poi, è così sempre, pure quando nevica.
Un pensiero devoto alla musica di tutti i buskers: di Ferrara, di Kalporz, del mondo.
MEGLIO UNA FERRARA SONNACCHIOSA?
di Federico Olmi
Un festival di musicisti da strada. Era la prima volta che assistevo a qualcosa di simile, se non ricordo male. E l’impressione è stata complessivamente positiva. Il “complessivamente” implicherebbe delle riserve, che effettivamente ci sono: non vorrei però passare per uno snob dal palato delicato e dai gusti difficili e dunque, per evitare equivoci, sarà meglio chiarire adeguatamente che cosa ho apprezzato del Buskers Festival e che cosa invece no.
Tra gli elementi a favore va sicuramente ascritta la grande varietà strumentale riscontrabile nelle varie compagini coinvolte nella manifestazione, oltre alla indubbia abilità strumentale di molti musicisti: nello specifico vorremmo qui accennare a due delle formazioni che abbiamo avuto modo di ascoltare.
Innanzitutto gli “Aura”, duo finlandese, uomo e donna; lei, Paula Susitaival, al violino, lui, Petri Prauda alla cetra, alla cornamusa (di tipo zampogna), e all’arpa ebraica. Suonano (e cantano) soprattutto folk, naturalmente di tradizione finlandese ma di loro composizione, che richiede una attenzione prolungata per poter essere apprezzato a dovere nella sua leggiadria e nei suoi elementi fiabeschi: e qui casca l’asino, come si suol dire. Vale a dire che una musica come quella degli “Aura”, lieve e rigorosamente e ovviamente non amplificata, finisce per essere un po’ schiacciata e mortificata dall’affollato ambiente festivaliero e dai suoi rumori, diciamo così, “fuori scena”. I due simpatici finlandesi li avremmo visti e ascoltati più volentieri in un tranquillo vicolo, in una giornata qualunque di una Ferrara più sonnacchiosa.
KRONWERK BRASS (27 agosto 2000)
Persino il ben più robusto quintetto russo, i “Kronwerk Brass”, due trombe, trombon e, tuba e corno, hanno visto la loro esibizione disturbata, anche se solo per pochi minuti, da un’intera banda di non so quale corpo o associazione – udite udite!!! – di Gaeta. Insomma, affollamento, forse anche di natura domenicale, venditori assortiti e siparietti vari che non c’entravano nulla con la manifestazione, hanno un poco diminuito il piacere dell’ascolto. Ma l’ “ottoneria” russa era veramente di alto livello: suono pulito e limpido, senza incrinature, tecnica sicura, senza sbavature; d’altra parte i cinque, che suonano e hanno suonato in varie orchestre, escono dal Conservatorio di S. Pietroburgo, e si sente. Il loro repertorio comprende trascrizioni di arie d’opera e di musica strumentale barocca e non, incursioni nel jazz e nella musica leggera.
ING ONGS, SNARE DRUMS TRIO (27 agosto 2000)
Per finire ricorderemo: “The Ing Ongs”, duo inglese che suona recitando in kilt scozzese (per lo meno ieri ), contrabbasso e banjo, accostamento veramente originale, tecnica sicura; “The Snare Drums Trio”, italiano, uno dei gruppi accreditati, e dunque non invitati direttamente dall’organizzazione del festival: un trio di percussioni, come dice il nome; ad ascoltarlo, come si può immaginare, non c’erano folle oceaniche – e in effetti le loro marce non sono un portento di varietà ritmica. Tuttavia, con il loro originale organico, testimoniano anch’essi la vitalità della musica di strada, il suo sperimentalismo, la voglia di stupire, la freschezza, che a volte, per non dire spesso, manca alla musica “ufficiale”, quella dei piani alti.
Rimane il rimpianto di non aver potuto ascoltare tutti i gruppi principali e il dubbio, per non dire la certezza, di non essermi levato la maschera dell’incontentabile.
FERRARA, CITTA’ KALPORZIANA PER UNA SETTIMANA!
di Giovanna
Ricetta “all’umido” per trascorrere una giornata davvero speciale: prendere qualche migliaio di persone ed uno scenario unico al mondo, insaporire con vino a piene botti e, soprattutto, MUSICA, ottima ed abbondante!!!!
Ed è proprio così! I fantasmi ariostesco-estensi lasciano momentaneamente le strade e le piazze in balia di fantastici artisti pressoché sconosciuti al grande pubblico, ma che qui trovano una dimensione del tutto diretta e sincera nel rapporto con l’audience, riuscendo ad esprimere pienamente le loro doti non comuni: musicisti di eccezionale livello come i francesi Ginkobiloba, capaci di un vero e proprio show-dialogo col pubblico (nonché unici ad offrire il loro vino agli spettatori: slurp slurp, miei kalporziani!); ma anche “personaggi” a tutti gli effetti, come gli stralunatissimi Jashgawronsky Bros, figli della gran madre Russia (?!) e maestri concertatori del cucchiaio e della bottiglietta in plastica vuota, per sinfonie… dinamiche e risate… balcaniche!
Poi è sera: la folla, guidata dalla ballerina-carillon, segue una banda in odor di Fellini, o si disperde nei vicoli e nelle piazzette a continuare la festa: i Finzi-Contini con maglioncino sportivo e racchetta sotto braccio girano fra la gente, ed anche il Torquato, rinchiuso in Castello, con la sua corda di mago prestigiatore si cala dalla finestra.
GINKOBILOBA (27 agosto 2000)
di Stefano Folegati
Quando assisti ad uno spettacolo di musicisti di strada, non è solo musica quella che ti arriva. C’è letteratura picaresca, cinema neorealista, circo: un bagaglio necessario, che può dare fascino ai musici, come può relegarli all’ambito della pura curiosità, della bizzaria ad uso e consumo dei turisti ingenui. Certo, un ascoltatore attento ha il dovere di andare oltre i luoghi comuni; ma sta all’artista di strada la scelta, se essere saltimbanco o poeta randagio, custode di memorie perdute o audace viaggiatore fra sonorità disparate. E alla fine, rimanere comunque musicista di strada.
Questi Ginkobiloba, francesi di Montpellier, sono innanzitutto molto, molto bravi, e qui già c’è un problema: il loro suono potente e trascinante può sembrarti più adatto ad un palco che all’angolo di una strada; l’abilità è notevole, e ha ben poco dello spirito naif che ci si potrebbe aspettare dal musicista di strada. Ma c’è qualcosa di speciale, in quella mescolanza di suoni provenienti da etnie e culture differenti proposti dal gruppo: una spontaneità, uno sgorgare naturale che può essere solo quello di autentici cittadini del mondo, e non delle velleità pseudo-etniche di una rockstar annoiata. Musica iberica e canzone francese, jazz e suggestioni arabe: tutto scorre con naturale irruenza, e trascina irresistibilmente il pubblico che si assiepa attorno. A catalizzare buona parte dell’energia è Marianne, cantante e chitarrista sanguigna, che sa urlare le sue storie di dolore e di speranza con tutta la forza di un’anima genuinamente mediterranea; potresti sentirla da un minareto oppure da un balcone napoletano. E poi c’è la sua incredibile capacità di imitare una tromba, che utilizza per duettare col sassofonista Pierre: e qui allora non ti sbagli, perché ritorna fuori il clown, il trucco per far restare a bocca aperta il passante. Sono anche saltimbanchi i Ginkobiloba, perché sono veri musicisti di strada. Te lo ricorda anche Bruno, il fisarmonicista, che passa con il berrettaccio a raccogliere le monete con la sua simpatica faccia da delinquentello guascone: decisamente, non assomiglia ad una rockstar.
THE INCREDIBLE JASHGAWRONSKY BROTHERS (27 agosto 2000)
di Elena Guarneri e Angela Falciano
Nello spazio ellittico della Rotonda Antonio Foschini (di rara bellezza), nel centro storico di Ferrara, in una domenica di musica, compare il bizzarro trio The Incredible Jashgavronsky Brothers: barbuti, sorprendenti, in abiti retrò, a metà tra mimi, musicisti, giocolieri, attori e intrattenitori.
Si presentano, in inglese, come gruppo di “musica tradizionale”, e poi suonano uno strampalato rock’n’roll, con l’ausilio di pentole e di una strana batteria con barattoli di latta. Coinvolgono il pubblico producendo ritmiche sulle braccia di alcuni presenti, utilizzando due cucchiai da cucina. Spaziano da Mozart e Rossini – suonati dandosi in testa delle bottiglie di plastica vuote – ad atmosfere caraibiche, di cui lo xilofono è protagonista. Trasformano oggetti con la fantasia: così, le bacchette dello xilofono diventano ferri da calza, e dalle miracolose e miracolate mani del trio escono teneri maglioncini di lana per bambini.
Esorcizzano paure e oggetti-culto della tecnologia giocando con squali di plastica, cellulari, pistole e video-games, per poi ritornare, accompagnati dallo stesso motivo, alle ghirlande caraibiche e al calore dei mari del sud.
Non si capisce chi sia il protagonista vero dello show, e se ce ne sia uno. I tre sanno sapientemente – e con leggerezza – mescolare musica, mimo, recitazione, coinvolgimento del pubblico, in uno spettacolo che scorre veloce, divertendo non solo i bambini.
I loro nomi d’arte sono Suren, Tomash e Pavel e la loro “origine” è balcanica (ma in realtà solo uno di loro è un vero armeno).
Il gruppo kalporziano per eccellenza nel XIII Festival dei Buskers di Ferrara ci entusiasma al primo sguardo e ci sorprende con una comicità che pare non appartenere più ai nostri giorni.
Formatisi da poco, ma già magicamente affiatati, i tre strampalati brothers vantano una esperienza più che decennale in teatro. Reduci da una tournée francese questi clown dell’Est, privilegiano il binomio recitazione-musica, dando ad ognuno di questi elementi una accezione davvero personale.
La loro recitazione è prevalentemente mimica, pochissimo spazio hanno le parole fra l’altro pronunciate in un inglese dal sapore russo. Lo spettacolo, che tocca corride spagnole, interpretazioni “riciclate” di musiche classiche, e miraggi di dolce “South America”, è un susseguirsi di gesti pressoché muti, sonorizzati soltanto dalle fragorose risate del pubblico e dal circense siparietto al termine di ogni numero.
La loro musica è della più bizzarra, strumenti suonati: tutti!
Percussioni, chitarre, fisarmoniche, cucchiai, bidoni, xilofono e bottiglie costituiscono il loro originale supporto sonoro, suonato con la seriosità che fa di una idea strampalata e buffa il motivo per una risata sincera.
Una risposta alla comicità “solo” parlata, in un scenario come quello dello strada dove nel brusio confuso di voci distanti tre giocolieri della fantasia incantano gli occhi e il cuore.
Tutto questo è: The Incredible Jashgawronsky Brothers!!!