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Un disco coraggioso. Il gruppo di Modesto, California, era piuttosto atteso dopo lo splendido esordio “Under The Western Freeway”, un lavoro che ricordava Pavement, Flaming Lips e la migliore musica americana dell’ultimo decennio. I Grandaddy rispondono a queste aspettative con un disco allo stesso tempo bello e imperfetto, tentando nuove strade come nel brano d’apertura “He’s Simple, He’s Dumb, He’s The Pilot” che nasce come tastiere e voce per poi crescere fino a ricordare gli ultimi Flaming Lips oppure in “Miner At The Dial-A-View”, una splendida e amara ballata spezzata da una voce automatica.
Qui come in tutto il disco, ciò che colpisce è lo sguardo malinconico al mondo moderno e tecnologico, a ciò che si è perduto e si sta perdendo, ai racconti di delusione e solitudine narrati dalla voce fragile di Jason Lytle.
Si segue questa linea di nostalgia che percorre ogni singolo episodio del disco, dalla leggerezza di “Hewlett Daughter” e “Cristal Lake”, alla desolazione di “Jed The Humanoid” e “Jed’s Other Poem”, e si resta affascinati dal senso di disorientamento che comunicano. Questo è il prezioso dono dei Grandaddy.