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La Comitiva poteva fare un album di buona musica moderna, come si usa oggi, tra melodia e elettronica. Invece ha fatto un album hip hop, magari un po’ sperimentale, d’accordo, ma nulla di allarmante. “Medicina buona” viene fuori mentre, tra dub e hip hop, l’Italia ha dato albergo a ottime idee, originali, non inquadrabili. I Casino Royale con l’ultimo “CRX”, i 99Posse, gli Almamegretta sono stati capaci di catturare il groove della musica contemporanea, rigenerandolo. La parolina magica, per intenderci, è ‘contaminazione’. “Medicina Buona” poteva essere un altro accolito, invece fa solo rap.
E’ talmente semplice, anche se va osservato che sarebbe potuto essere un’ottimo candidato. Mi spiego. Di questa affollata parrocchia fanno parte, da poco, anche i Tiromancino. I Tiromancino sono i fratelli Zampaglione, con l’assidua collaborazione di David Nerattini, Riccardo Sinigallia e Dj Stile. Sono gli stessi che hanno portato a Sanremo un pezzo rap o quasi, che mi pare avesse a che fare con la Strada. Bene, se leviamo uno dei due fratelli (il più vecchio), e aggiungiamo Ice One, avremo al completo La Comitiva. La questione è, dunque: può bastare un solo elemento a rivoltare la personalità di un gruppo? Eh sì, se si tratta di Ice One. In realtà Dj Stile è un produttore hip hop, e Riccardo Sinigallia ha già lavorato con Frankie hi-nrg, è insomma un b-boy d’adozione. Sono stati i Tiromancino ad aver preso questi due, gli stranieri, per dare un taglio diverso alla propria musica. Invece con Ice One tornano al rap. Danno un taglio diverso al rap, insomma. Alla fine converrà, per chiarezza, considerare questo un album di Ice One.
Una presentazione così corposa, credetemi, era necessaria. Ho letto, qua e là nel web, recensioni agghiaccianti su quest’album. Parlavano di tradimento dell’hip hop, di impoverimento di stimoli per una scena che stava lemme lemme affondando nel pop… In effetti, i testi sono articolati e densi, mi pare non ci siano insulti o gerghi strani, raccontano storie o sono sfoghi, o riflessioni. Imperdonabile! Se non si strilla e si impreca e si protesta, e se non si graffiano i dischi, se insomma non si assomiglia almeno un po’ ai Public Enemy a passare per hip hop si fa molta fatica. Mi risveglia un fatterello di qualche anno fa. Il concerto del Papa a Bologna, ricordate, con Bob Dylan e le altre band. In quell’occasione il cardinale Martini aveva tranquillizzato i fedeli dicendo che la Chiesa non considerava più il rock la musica del diavolo. Però, proseguiva, proprio non riusciva (lui, e la Chiesa) a tollerare quelle cose nuove, come il rap, inascoltabile, e malato, ispirato dal demonio. Chissà se sarebbe stato di questa idea, ascoltando “Medicina Buona”. Ok, la Chiesa ci mette qualche decennio a recuperare la misura dei tempi moderni, è una sua prerogativa legittima. I giornalisti che hanno cassato questo album, però, non scrivevano per l’”Avvenire”… Non saprei, tanta incertezza di genere dovrebbe incuriosirvi, e convincervi a ascoltare qualche singolo. Io me lo auguro, anche per chi ci vedrà un rap intossicato di pop, o un pop (o un dub) congestionato da troppo rap. Dovrebbe risaltare la qualità delle produzioni e la forza dei testi, e per i fans di Ice One (o dell’hip hop tutto) riconoscere la mano del Funkadelico.
Facciamo qualche nome. “Sto sui miei piedi”, prima traccia, introduttiva ai temi ma soprattutto alla qualità globale dell’album. La cosa migliore dell’album. Poi il singolo, “Nottetempo”, con Elisa (and I’m walking into the fog) e Frankie hi-nrg. Menzione speciale per “Malavita”, col ritornello affidato al Tom Jones nostrano, Franco Califano in persona. E così via. Se pensate che l’inovazione non debba passare sempre per l’hardcore e l’underground, un album così è un’occasione rara. Dovrete però essere disposti a perdonare quelle due o tre tracce meno felici, e sorvolare sul fatto che avete dato via circa trentamila per una mezzoretta di musica.