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Leggendo qua e là, mi sono accorto che quest’album non è piaciuto molto. I De La Soul il loro classico l’hanno già in curriculum. “Three Feet High and Rising”, classe ’89, gli ha guadagnato un seggio nel club dei più grandi di sempre, tutto il resto è un di più. Fatto sta che questo lavoro non è brutto. Insomma, non è imbarazzante. La grande famiglia dei De La ha pensionato la maggior parte dei soci di un tempo, i Jungle Brothers, gli A Tribe Called Quest. Gli ATCQ si sono sciolti con onore, lasciando libero Q-Tip di provare la carriera solista. Niente di che, ma un buon debutto anche per lui. I Jungle invece hanno provato un nuovo album, “VIP”, per l’appunto imbarazzante. Altri esempi? Rakim, quello di ‘Erik B & Rakim’, leggenda vivente della vecchia scuola, ci riprova con “The Master”, decente. “There’s a Poison Going On”, dei Public Enemy, si sorregge grazie ai remix, e Afrika Bambaataa l’ultima cosa all’altezza della sua fama l’ha fatta quest’anno, nel duemila, con “Planet Rock 2000”. E Planet Rock risale al 1986… Questa breve sfilata di nobili decaduti dovrebbe far risaltare meglio l’opera dei De La Soul. Che, lo ripeto, non è affatto male.
“Art Official Intelligence” è un progetto su tre album. Gli altri usciranno entro la fine del 2001, per ragioni di mercato. Dovrebbero essere già pronti, in realtà, ma quanto sarebbe costato un cofanetto con tre cd? Inoltre, i De La Soul sono una vecchia gloria e una sicurezza, ma avevano da mostrare quanta ruggine avessero accumulato in quattro anni di silenzio. Poca davvero, in ogni caso. Non solo lo stile è quello, potente e ironico, del passato, ma si è dato una bella rinfrescata. I giovani rampanti dell’hip hop hanno inventato un nuovo rap, che i De La Soul hanno dovuto imparare. Ma appunto l’hanno imparato, e non è solo facciata. Hanno investito energie (e talento) per ammodernare lo stile, quando i loro colleghi piuttosto hanno restaurato (rattoppato? esumato?) il loro antico gingillo. Mica male i nostri eroi. L’ascolto rasserena subito. Il flow dei tre ragazzoni di Long Island non è cambiato. Magari non ha la carica degli inizi, ma dà proprio l’impressione di essere maturato. Sembra che questo sia lo sbocco naturale del marchio De La. Sollievo. Il mio timore era che per entrare nel duemila avessero pagato i compromessi col nuovo rap. O peggio che il rap l’avessero tenuto così com’era, sorpassato. Nè l’uno né l’altro. Il flow, lo ripeto, è quello noto. L’ironia è sempre là, la qualità di voce e produzioni impressionante. Il neo, grosso, è che alla fine è un lavoro poco ispirato. Ma, ancora e ancora, di rara e solida qualità. Lascia la voglia, insomma, di ascoltare gli altri due pannelli della trilogia.
Fate voi, io lo comprerei. Molti i featuring, con i soliti Redman e Busta Rhymes, e con Ad Rock dei Beastie Boys, Xzibit, Chaka Khan, Freddie Foxxx e altri ancora. Il singolo internettiano lo potete trovare ovunque, in mp3. “Oooh.”, con Redman, che non rende comunque giustizia all’album. Bella “I.C. Y’All”, con Busta, e “U Can do (Life)”. Belle un po’ tutte, o carine un po’ tutte. L’album è abbastanza piatto, non molto stimolante. Ma sopra la media, e fuori dagli standard. In una parola, originale. Ma monocorde. Insomma, fate voi. Io lo comprerei.