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I Modest Mouse guardano alla Luna e all’Antartide nel loro terzo disco, il primo su major, un modo per dire che lo sguardo sarà più ampio, non focalizzato strettamente sull’America. Il terzetto opta per un legggero cambiamento di rotta quindi, così da sviluppare in altre direzioni la propria musica, figlia della tradizione americana e del rock chitarristico che passa per Husker Du, Dinosaur Jr e Built to Spill. L’apertura del disco è nel segno della continuità, prima con la splendida “3rd Planet”, con un alternarsi di quiete e irruenza degna dei migliori Built To Spill, e poi con gli umori folk di “Gravity Rides Everything”. Qui e là il appare ancora il lato più conosciuto del gruppo, la melodia cristallina di “Paper Thin Walls”, come solo i migliori Pavement sapevano comporre, e il country sfilacciato di “Wild Packs Of Family Dogs”. Tuttavia queste sono soltanto alcune delle sfaccettature di un disco complesso, elaborato, in cui la musica si fa meno lineare e più ricercata. E le coordinate cambiano. Nel basso insistente che sorregge “Tiny Cities Made Of Ashes” e nel ritmo sincopato, spezzato di “Life Like Weeds” emergono influenze new wave e l’ombra dei Talking Heads e il risultato non è molto distante dagli esiti più sperimentali dei dEUS. Il gruppo si spinge ancora più in là nella lunga “The Stars Are Projectors”, otto minuti di lucida follia in cui il suono nervoso dell’inizio si stempera in melodia sognante e sfocia in un rincorrersi di quiete e energia. Un disco dalle molteplici facce che ci regala un gruppo in grado di crescere e farsi più profondo senza per questo perdere di entusiasmo.