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Grandioso sequel dell’album d’esordio, “Axis…” è un’opera che va assaporata a fondo, tanto ricca di sfumature e di nuove ricerche stilistiche verso le quali il genio di Seattle ha un’attrazione fatale. Infatti la sua spinta verso il nuovo e l’inesplorato sarà costante lungo tutta la sua breve vita. Sono rimaste storiche le fluviali sedute in studio di registrazione, mettendo su nastro centinaia di spunti, continuando a chiedere alla sua chitarra cose mai udite prima. Tra queste ultime è senz’altro da inserire la opening track di “Axis…”: dopo una curiosa e divertente introduzione vocale a simulare un’intervista, Jimi comincia a maltrattare la sua Cosa, tirandone fuori suoni di un impatto inaudito, incredibili, assolutamente vicini a future sonorità create artificialmente dall’amato/odiato synth. Dopo questo muro del suono, “Up from the skies” fa capolino con il suo incedere sinuoso e semi-acustico, rivelando così un’ennesima sfaccettatura della complessa personalità di Hendrix ed offrendo un’anticipazione di molte tematiche dello storico “Electric Ladyland”. Sempre insieme agli allora fidati Mitchell e Redding, JH regala all’umanità un’eccezionale serie di evergreeens: “Spanish castle magic”, Wait until tomorrow”, “Castles made of sand”, “Little wing” (della quale esiste una preziosa cover di Sting nel suo secondo album solista, “Nothing like the sun”, arrangiata dall’immenso Gil Evans). In due parole: disco essenziale.