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Il mondo del rap è dei neri, con poche eccezioni. Il rap che conta, in America ma anche in Francia per esempio, è per lo più afroamericano. In America però il concetto di nero è diverso dal nostro, o almeno più ampio. Tony Touch è un viso pallido, non c’è dubbio. E’ un bianco abbronzato non un nero sbiadito, ma questo in Italia. Io lo metterei senza difficoltà con Eminem e Everlast, negli Stati Uniti no. Negli Stati Uniti uno come lui passa inosservato, è solo uno dei tanti ispanici del rap. Un ispanico, un portoricano per essere precisi. Qualche altro nome? Big Pun, Cypress Hill e Beatnuts fra i più famosi, e tutti presenti in quest’album.
Tranquilli quindi, i portoricani nel rap fanno la stessa figura dei neri, li dobbiamo trattare alla stessa maniera. Ora, un’altra avvertenza di servizio. Gli ispanici e il rap è un connubio pacifico, e il rap, ora ci arriviamo, non è solo studio e live. Gli album possono essere registrati in studio, possono essere dei live, e possono essere dei mixtape. Un mixtape, alla grossa, è una compilation di tracce di altri mixate insieme. Nel caso dell’hip hop e di Tony Touch in specie è qualcosa di più raffinato. Tony Touch fornisce il beat, invita guest che non sono veri e propri featuring. Insomma fa le basi, le mixa insieme, e su quelle basi i suoi ospiti rappano. Poi l’album è il suo, l’ha pensato e prodotto lui. Gli altri partecipano, sono featuring insomma. E che featuring! Come noterete dando un occhio alla track list, il parterre di ospiti è impressionante. Rappa anche Tony, e non se la cava male. Del resto, lo spanglish paga. Un misto di spagnolo e inglese, lo spanglish, caratteristico dei rapper ispanoamericani ma soprattutto divertente. Per questa ragione il picco dell’album lo metterei su “What’s That (Que Eso?)”, dello stesso Tony con i De La Soul e con Mos Def. Con Mos Def che rappa in spagnolo! Impagabile. Okay, è una mia passione, non so resistere agli americani che rappano in spagnolo. Voi poi prestate attenzione alla decima traccia, “I Wonder Why? (He’s the Greatest DJ)”. Il biglietto da visita di Tony Touch, dove stanno scritti i suoi skills nello sposare l’R&B e il reggae al rap puro. Un fenomeno in materia.
Questi i picchi, ma il resto dell’album non è affatto male. Le basi sono solide, lo stile sicuro, il flow assicurato, Almeno per essere un mixtape. Di solito questo tipo di lavori sono un po’ aridi, se non proprio monotoni. E’ il primo lavoro che Tony Touch produce per la Tommy Boy. Prima era tutto un far-da-sé, di successo ma casalingo. In effetti “The Piece Maker” è molto diverso dai vecchi prodotti della Touch Entertainment. Per intenderci, Tony Touch è il signore che inventò la formula di “50 Mc”. La sua base, e via ad alternarsi al microfono cinquanta rapper, ciascuno per uno o due minuti di freestyle. Uno spettacolo, davvero uno spettacolo. La serie si è conclusa l’anno scorso con “Power Cypha 3: The Grand Finale”, e se lo trovate compratelo assolutamente. Dicevamo, “The Piece Maker” è più convenzionale. Anche rispetto a lavori simili, chessò “Soundbombing” della Rawkus, è pulitino e misurato. Un buon album, onesto, piacevole…
Però non venite a dirmi che Tony Touch si è ammorbidito. Dopo il successo dei “Power Cypha” è arrivato alla Tommy Boy, e allora? Ha all’attivo più di cento mixtape, e insomma anche questo album mostra bene l’ispirazione di un’icona vivente dell’hip hop. Il guasio è che con la formula tradizionale di mixtape le magagne stanno bene in mostra. Far seguire ai Gang Starr i Flipmode Squad è stata una crudeltà. Il pezzo della cricca di Busta Rhymes è il più fiacco dell’album, e anche D-12 con Eminem non se la cavano troppo bene. Il resto dell’album invece è costante, stabile su una pienissima sufficienza. A scuola gli avrei messo un bel sette e mezzo, per intenderci. Ma poi lo avrei portato in giro per le classi a mostrare come deve essere fatto un buon album di rap.