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Tra i migliori esponenti della scena rap-core mondiale, i Downset non hanno mai avuto molta fortuna nel mercato discografico; vuoi perchè poco pubblicizzati, o perchè, al contrario dei Rage Against The Machine, meno politicizzati e più impegnati nel campo sociale e religioso (I Downset sono sionisti, per inciso), non hanno mai avuto un buon riscontro di massa che rendesse giustizia al loro talento. In ogni caso, rimangono sempre una delle migliori band crossover in circolazione. E i loro lavori discografici lo dimostrano.
Ispano-americani di Los Angeles, vedono il loro debutto già nel ’92 con l’album omonino (la concorrenza con i RATM, come si può notare, è presente fin dall’inizio); il loro primo lavoro è un concentrato di rabbia ed energia, che li espone subito al grande pubblico; e forse resta ancora il migliore, sia per il contributo alla causa crossover (in quanti sentivano parlare di questo genere ai tempi?), che per i riff incalzanti e ritmati, che contraddistinguono l’intero album. Anche il cantato già comincia ad avvicinarsi all’hip hop. Meritevole di citazione è “Anger”, canzone simbolo di questo album, che riassume in pochi minuti la musica e le intenzioni dei Downset. In questo senso possiamo dire che essi hanno contribuito ottimamente all’affermazione del crossover, nel senso più ristretto del termine (visto che oramai tutto viene inglobato sotto questo nome).
Con il successivo “Speak a dead language” (Mercury, 1996), album comunque molto interessante, i Downset purtroppo vengono un po’ riassorbiti nei ranghi. Ed è con “Check your people” che segnano il loro ritorno, interrompendo un silenzio che dura da parecchio tempo. L’album questa volta differisce leggermente dagli altri due, anche se l’impatto è sempre fortissimo già dalla prima canzone (“Fallen Off”), si tratta comunque di un disco meno immediato ad un primo ascolto; dà spazio a più rimandi, a linee di chitarra meno esplosive, ma più fredde e più elaborate, e a una forte matrice hip hop. Spariscono gran parte dei riff legati a scale blues, diventati un marchio di fabbrica dei Downset, per dare spazio anche a sonorità più vicine all’hard rock. Sembra quasi di ascoltare i Cypress Hill di “Skulls and Bones” nella title track “Check your people”, con un riff pesante che permane nell’intera canzone e una linea hip hop sul cantato. Ci sono poi anche perle come “Coming back”, con un fill che ricorda molto i Limp Bizkit, “Chemical strangle”, “Tear us apart”, la bellissima “2000”, o “En el Aire”. Brani in cui indistinguibile è il marchio dei Downset. Ritmi avvolgenti, ma con un sound un po’ differente da quello sentito nei lavori precedenti, ma, soprattutto, la volontà di rimanere legati sempre allo stesso genere, di non scendere a compromessi con nessuno, di prendere le distanze dall’innovazione fine a sè stessa. Niente da dire, comunque, anche se, ripeto, il migliore è
sempre il primo, “Downset” (Mercury, 1992).