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Un bentornato a Everlast, dopo il grande spavento di “Whitey Ford Sings the Blues”. Gran bell’album, ma finito tra camici e corsie di ospedale. Ora, con una valvola nuova di zecca nel cuore, il ritorno. “Eat at Whitey’s” segue il successo inaspettato dell’ep “Today”, e la collaborazione nel nuovo e fortunatissimo album di Santana. Un ritorno atteso e acclamato, tranne che per il solito Eminem. Che gli canta “Kid Rock and Limp Bizkit came along/ Now nobody wants to hear your old ass sing no more”. Poco male, dalla California l’irlandese più famoso del rap ha scelto ancora una volta di forzare il suo talento. Che, a quanto pare, è a prova di schiaffi.
Ha virato dagli orizzonti folk dei cantautori del primo “Whitey Ford”, e si è addentrato nel soul. Diremmo nel blues, ma penso che ‘soul’ gli faccia più giustizia. Di musica e parole, è fatta la sua musica, di voce e suono. La preziosa caratura di questo lavoro sta allora nel soul dell’armonia e in quel po’ di blues che passa con la sua voce da nero. La voce e l’interpretazione da bluesman, e la musica decisa di quel soul che sa di live. Che sa di folk, appunto, con chitarre arpeggiate o melodie ispaniche… E lui è pure un irlandese. Carlos Santana si ascolta bene nelle due tracce dove presta voce e chitarra, sopravvive al carisma di Everlast. Diciamo che è il solo duetto dell’album Gli altri feat sono comparse, sotterrati dalla voce incandescente di un artista rinato e ora maturo. E quindi, se vorrà continuare come ha fatto sinora, un artista pronto a cambiare ancora. Pensate alla sua biografia artistica. Lui è quello di “Jump Around”, degli “House of Pain”, del rap bianco californiano. Una star del rap, che si mette in proprio per fare musica suonata. In “Whitey Ford Sings the Blues” c’è ancora traccia di rap. Una traccia che è un solco, una forma latente. Qui è un altro discorso. In “Eat at Whitey’s” la musica è quasi del tutto suonata, mentre l’hip hop compare lì sotto. Il rap è incorporato e confuso nel soul. Adesso sarebbe facile tirare fuori l’r&b. L’r&b d’oggi, mezzo soul e mezzo rap. Ma appunto si chiama r&b, non soul. Sarà anche un artificio linguistico, però di Rhythm & Blues qui non c’è niente. Per questa ragione lì sopra titubavo a mettere il blues fra i referenti di “Eat at Whitey’s”. Ci sono più ballate, anche country al limite, anche gospel in qualche traccia. Per carità, non cercate gospel e country in questo album. Soul e hip hop, sono la direzione giusta. No blues, no funk, ma folk, country, gospel e chitarre ruvide. Che ne dite di un misto di Nick Cave e Jazzmatazz? Ci possiamo essere.
E’ vero, mi aspettavo un album hip hop almeno un po’ tradizionale. Invece la sola traccia rap è quella con B-Real dei Cypress Hill. “Deadly Assassins” anticipa il progetto “Soul Assassins 2000”, proprio di B-Real. Le altre tracce sono un esperienza unica, loro sole e loro in quanto parte di questo album. Diverse solo le due con Santana, di cui “Put Your Lights On” è un gioiellino di intensità e atmosfera. Gli altri feat, come detto, spariscono. Affiora un po’ di hip hop con Kurupt, Cee-Lo dei Goodie Mobb e Rahzel del Wu. Ma l’unica star è Everlast, ha la scena e se la tiene. Una prova capitale della musica recente. Poco rap, ma forte abbastanza da tenere in caldo l’hip hop. Da cui comunque Everlast non riesce a scappare. Del resto, non credo lo voglia. Credo preferisca essere l’unico Everlast sulla piazza che uno dei tanti Nick Cave. Non se ne abbia a male Eminem, ma nel dubbio fra Kid Rock, Limp Bizkit e Everlast, Everlast è ancora irraggiungibile.