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Il gruppo inglese, ridotto a trio, ha ormai pienamente mutato direzione musicale e questo album ne è una delle dimostrazioni più evidenti. Il titolo stesso “Genesis” sembra quasi sottintendere una rinascita del gruppo sotto una nuova forma. E’ disco noto ai sostenitori dei Genesis anni ’80, e contiene alcuni hits di questa fase. Che per noi, l’abbiamo già detto, suona come una involuzione, una banalizzazione, un cedimento ad una musica più corriva. Quelli che ascoltiamo qui sono brani riconducibili ad una tradizionale forma canzone con tanto di classico ritornello: le istanze progressive sono ormai un pallidissimo ricordo. Si comincia con “Mama”, uno dei pezzi più noti e, probabilmente, dei meno peggio: mostra qualche traccia di originalità, soprattutto nella parte vocale. Con “That’s all” si cade in pieno nella canzonetta leggera anni ’80 con un Phil Collins che sfodera tutta la leziosità di cui è capace: sono i prodromi della musica che produrrà in proprio, al di fuori del gruppo. Il dittico formato da “Home by the Sea” e dalla quasi interamente strumentale “Second Home by the Sea” costituisce, dal nostro punto di vista, il meglio che possa offrire “Genesis”: sono brani che conservano una certa imponenza e fascino strumentale. Ma non ci si illuda: è uno strumentale svirilito, dall’aspetto di relitto di un’epoca che non c’è più: con accenti pop marcati. Il Lato B si apre con “Illegal Alien”. Inutile dire che si tratta di un monumento di questi Genesis mutati geneticamente: ritmo vivace e sbarazzino, orecchiabilità, solite vocine alla Collins, e coretto finale che ripete il ritornello. “Takin’it all too hard” è un lento con ritornello lacrimevole e fascinoso, a suo modo efficace. Con “Just a Job to do” entriamo in atmosfera più marcatamente rock, con una discreta energia interpretativa di Collins. Chiudono l’opera “Silver Rainbow”, con coretto a più voci sovrapposte per il ritornello, e “It’s gonna get better”, vera canzonetta, il punto più basso dell’album, dove Phil mette in mostra il peggio delle sue doti vocali.
Ma nonostante tutto ciò ci tocca ammettere che il disco, nel suo genere, ha una indubbia compattezza. E Collins pare decisamente a suo agio in questo tipo di repertorio. Evidentemente i tre della Genesi erano ben consapevoli di quel che stavano facendo. Noi stessi, dopo l’ascolto, ci siamo sorpresi a canticchiare alcuni brani. D’altra parte stiamo parlando di un’opera che ha venduto non poco, come altre del gruppo nella nuova era. Ma questo, con la qualità musicale, ha molto poco a che fare. Di rara tristezza la copertina.