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Scoperti grazie all’indiscussa attività di talent-scout di Jonathan Davis, gli Incubus hanno saputo farsi strada con tre differenti album, ognuno secondo il suo stile, ma uniti da un carattere e da un groove straordinari. Questi musicisti di grande talento hanno saputo addentrarsi nel corso degli anni in diversi generi musicali, estrapolandone le radici primordiali, per poi lanciarsi al di là di ogni barriera .Così sono nati “Enjoy Incubus” (Epic, 1996), un misto di funky, metal e rap, “S.C.I.E.N.C.E.” (Epic, 1998), forse la loro opera più completa e riuscita, con un bellissimo lavoro di scratches alla base, e quest’ultimo “Make yourself”, che propone un’elaborazione forse più vicina a una sfera pop, anche se non mancano le dinamiche e i richiami al grunge, al punk e alla new wave e ammiccamenti funky/hip-hop. Da questo incontro di stili parte così un lavoro teso ad esplorare nuovi territori musicali, un punto di raccolta da cui partire per creare un nuovo sound, sempre più contaminato, ma con una propria personalità. E allora ecco che nascono canzoni come “Make yourself”, “Pardon me”, “Stellar” o “Drive”, in cui il pop, il grunge e il punk si mescolano con echi di new wave e a volte con un sound che ricorda quello della East Coast. Brani tenuti insieme anche da una struttura lineare che vede l’alternarsi di strofe riposanti con ritornelli più ritmati, ed accompagnati da un tessuto sonoro di qualità, impreziosito anche da bellissimi suoni di chitarra che fanno da impalcatura alla canzone.
Sulle prime l’album sembra contraddittorio. Parte bene con “Privilege”, ma poi disorienta con una lunga serie di pezzi melodici e poco ritmati (da “Consequences” a “Nowhere fast”) a cui gli Incubus poco ci avevano abituati. Ma poi riprende vigore nel finale, da “Make yourself”, con brani più vari ed un ritmo più incalzante.