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Oggi pare impossibile, ma il rap nacque party. Era musica per intrattenere, per far ballare alle feste, per scatenare i block-party (alla grossa, feste di strada). Finché GrandMaster Flash, i Public Enemy e anche i RUN DMC portarono l’impegno, vale a dire il black power, dentro all’hip hop. Bene, in quegli anni di furia propagandistica, salì sul palco del rap una personalità ancora oggi poco inquadrabile. LL Cool J significa ‘Ladies Loves Cool James’. Vero nome, naturalmente, James T Smith. Che deve essere ricordato almeno per la longevità. Nell’hip hop, anche se non ti sparano prima, si fa fatica a superare i cinque anni e i tre album di carriera. LL Cool J sono quindici anni che rappa, e a giudicare da quest’ultimo lavoro è ancora piuttosto in gamba.
Il titolo è ciclopico: “G.O.A.T. Featuring James T. Smith THE GREATEST OF ALL TIME”. Giunge dopo tre anni da “Phenomenon”, un album mediocre come i precedenti usciti dopo il novanta. “G.O.A.T.”, comunque, inquadra bene il personaggio. Grande veramente è stato fra l’ottantacinque e il novanta, è stato uno di quelli che ha cresciuto l’hip hop dopo che i RUN DMC avevano affossato la old school. Dopodichè divenne una superstar, una sorta di idolo antelitteram per teenager. Una cosa un po’ deprimente, visto ciò che era stato. E guardate che non ho pregiudizi di sorta. Non sono una donna, dunque sono sereno. Il sesso descritto da LL assomiglia agli istinti di un ragazzino un po’ bavoso. Gambe lunghe, tette grosse, capellone. Noto per essere stato considerato il primo misogino dell’hip hop. Non solo. La cattiveria elementare e diretta sono naturali per lui, sono la riproduzione fedele del suo modo di rappare. Diretto, semplice, immediato, in una parola da freestyle. E’ il suo marchio e la sua qualità migliore. “G.O.A.T.” ci ridà un po’ del miglior LL. E dopo dieci anni, e a quindici anni dal debutto, sa di evento.
Un album piacevole, non un capolavoro. E’ valsa la pena arrancare dieci anni per tirar fuori un “G.O.A.T.”? Dieci anni e tre album proprio scarsi, con tutto il buon cuore. E il duemila che lo rimette in gara. Uno fra i tanti, se non fosse una celebrità del passato. Un personaggio storico dell’hip hop che ci riprova, e onestamente riesce a non farsi ridere troppo dietro. Anche se a questo punto spero voglia darci il commiato. In fondo è un buon modo di uscire di scena. Tanti feat, e due molto riusciti. “U Can’t F**k with Me” e “Queens Is”, l’una con Snoop e Xzibit e l’altra con Prodigy dei Mobb Deep. “Farmers” e “Imagine That” si ascoltano bene, e ricordano il signor Smith dei bei tempi, almeno per temi e toni. I picchi sono questi, ma forse ne troverete qualcun’altro che vi piace di più. Del resto, più che picchi sono colline, ma l’album, nel complesso, fa un bel paesaggio. Dopo dieci anni di Tebaide.