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Nick Drake aspettò due anni prima di ripresentarsi al pubblico, dopo l’uscita di “Bryter Layter”, con questo “Pink Moon” nel 1970. C’è da chiedersi quali fossero i suoi sentimenti dopo un altro disco rimasto nel dimenticatoio, dopo aver visto infrante le speranze di successo e soprattutto dopo aver constatato come tutti gli sforzi fossero stati vani. Quando decise di rompere il silenzio, l’artista inglese lo fece con il suo disco più diretto e scarno.
Nient’altro che Nick, la sua voce e la sua chitarra. Nient’altro. Non ci sono più le orchestrazioni di Rober Kirby, non ci sono altre chitarre, basso, batteria o fiati, soltanto poche note di piano suonate da Nick Drake stesso che accompagnano il brano che apre e dà il titolo al disco, l’evocativa “Pink Moon”.
Accanto alla consueta grazia di pezzi come “Which Will” o come la conclusiva “From the Morning”, compaiono brani meno lineari, quasi frammenti incompleti, schegge di melodia, “Ride”, “Harvest Breed” o il brevissimo strumentale “Horn”. E affiora, in “Parasite” e in “Know”, un’amarezza profonda, un senso di distacco dalla realtà che prima era soltanto accennato.
Così accade anche nelle due canzoni più riuscite del disco.
La splendida e sofferta “Things Behind The Sun”, “Le cose dietro il sole”, splendido racconto su Nick e il mondo che sta intorno a lui, sulla sua solitudine e la sua sofferenza. Un gioiello acustico per chitarra e voce. E poi l’apparente tranquillità con cui si distende “A Place To Be”, in cui si rivela l’inquietudine di un uomo che sta crescendo ed è alla ricerca di un “posto in cui stare”.
In forza della essenzialità delle canzoni, che le rende così intime e profonde, “Pink Moon” è un lavoro breve ma eccezionalmente intenso. E forse finisce per essere il più bello tra i dischi di Nick Drake.