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Sarà la pioggia che cade incessantemente fuori di qui, sarà la fredda aria autunnale, sarà forse questa terribile città, ma “Three”, appunto il terzo capitolo della storia Black Heart Procession, sembra la perfetta colonna sonora per queste giornate. Il disco suona scuro e tormentato come mai prima e del resto il nome del gruppo già lo faceva presagire. Lente e strazianti ballate dal fascino irresistibile percorse da un senso di infelicità profonda, costruite attorno a piano e chitarra che fanno saltare alla mente il nome di Nick Cave. A volte spoglie, “Guess I’ll Forget You” e “Till We Have to Say Goodbye”, a volte disturbate da strane interferenze, l’inizio di “Waterfront (The Sinking Road)” e “We Always Knew”, possiedono comunque quell’identico tono sofferto che avvolge ogni canzone.
E’ questo senso di dolore che percorre l’intero lavoro che colpisce ed è stupefacente come un disco così scuro sia stato realizzato da musicisti di San Diego, una città che si immaginerebbe immersa nel caldo splendore californiano. L’istantanea dell’America che ci danno i Black Heart Procession è invece un’altra, un paese freddo, desolato e solitario che ricorda le pagine nere di William Faulkner e Flannery O’Connor. E infatti quando compare la luce in “War is Over”, una melodia dolcissima, svanisce immediatamente con “On Ship Of Gold”, dove il l’atmosfera buia è arricchita dalla voce lontana di Kazu dei Blonde Redhead. Un disco per l’inverno che sta arrivando.