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Molta critica ritiene “October” il lavoro meno riuscito del gruppo irlandese. Ritengo che il secondo capitolo della saga U2 sia un album indispensabile, contenente almeno sei capolavori, sulle undici tracce totali. L’Ottobre di Bono e compagni è pieno di vitalità ed irruenza nella mitica “Gloria” (un altro grande figlio d’Irlanda, Van Morrison, ne scrisse un’altra più scabrosa quasi vent’anni prima), in “Rejoice” e nella finale “Is That All?”. Il decimo mese assume aspetti decisamente più autunnali nelle delicate ed intimiste “I Fall Down”, “Tomorrow” e nella title track, tre canzoni degne di essere inserite nei migliori episodi del decennio. Gli U2 sono strani, un po’ alieni. Le voci ed i cori ci giungono sempre un po’ distanti, come in un alone magico sprigionante però calore ed umanità, amore ed appartenenza. Se “Boy” è stato il colpo di fulmine, “October” è la consapevolezza di non essersi sbagliati nel contare su Mullen, Clayton, The Edge e Bono Vox. Addirittura, si ha la sensazione che superi con più slancio la fatale prova del tempo, forse proprio grazie al suo tono meno trionfalistico.