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L’unione del più nero tra i cantanti bianchi in circolazione, Eric Burdon, con l’armonica del danese Lee Oskar e una band di Los Angeles che faceva della contaminazione tra rythm and blues, jazz e sonorità latine la propria peculiarità produsse una delle stagioni più brevi ma intense della musica rock.
A distanza di un trentennio “Eric Burdon declares War” rimane un capolavoro assoluto e dovrebbe far riflettere su che cosa significhi fare un disco di musica nera, così cristallino nei suoni e così esplosivo nell’impatto vocale; Burdon dimostra in questo disco di unire alla sua voce tipicamente “bluesy” una carica sensuale straordinaria, adeguatamente supportata da una band che ne intuisce gli ardori e che si lascia trascinare felicemente dal proprio capobanda, trovando il giusto spazio per esprimere tutto il feeling necessario.
L’intuizione di creare una sezione fiati composta solamente da un sax tenore ed un’armonica si rivelò una scelta azzeccata ; la band registrò il disco dopo essere stata in tour per circa un anno, nel gennaio del 1970.
L’opening track “The vision of Rassan”; è da brivido; l’introduzione pianistica di Lonnie Jordan prepara il terreno ad un gospel/rock che odora di soul non appena la sezione fiati entra in scena; per tutta la durata del pezzo si ha la sensazione che debba accadere qualcosa, un improvviso cambio di ritmo, un assolo travolgente; invece la canzone rimane come inchiodata in una sorta di stupefacente equilibrio che le dona una grazia straordinaria. Sul finire del pezzo Eric recita: “Everything has a dream, everything has a skin, let’s search for”, esemplificando con la consueta efficacia l’intento del messaggio.
La seconda traccia s’intitola “Tobacco Road”, ed è una cover di John Loudermilk; già “hit” negli anni sessanta, il pezzo si sviluppa su una base funky di basso, percussioni batteria e chitarra su cui si snoda magistralmente la voce di Burdon, accompagnata costantemente dall’anomalo supporto della stravagante sezione fiati (sax-armonica). Anche in questo caso l’equilibrio tra i vari elementi è impressionante. Tutto sembra suonato in punta di piedi….
“Spill the wine” è il pezzo più conosciuto dell’album, singolo capace di scalare la vetta di tutte le classifiche del mondo, con la sua rarefatta atmosfera di sogno tradotta sapientemente da una voce femminile di sottofondo che parla in spagnolo; il flauto carico di riverberi enfatizza ciò che sembra essere un pigro e assolato pomeriggio estivo.
“Blues for Memphis Slim” incarna perfettamente l’esigenza di rileggere il blues con soffusi accenti jazz e profumi delicati; sax e armonica si danno il cambio in un lungo assolo che guida praticamente tutto il pezzo.
L’ultima gemma è intitolata “You’re no stranger”, e fu originariamente accreditata agli “War”, mentre in realtà furono aggiunte nuove liriche su una melodia preesistente. Sfortunatamente la band non si ricordava la fonte della melodia e ciò fu causa di problemi legali che la costrinse a depennare il pezzo dalle ristampe dell’album. La versione in CD del lavoro ha ovviato a questo problema, ridandoci la possibilità di ascoltare anche questa splendida chiusura, con le voci in primo piano in un coro leggermente pastoso e alcolico e il piano e le percussioni ad accompagnare il tutto.
Un’ultima annotazione: il nome War, venne dato per indicare, a detta di Lonnie Jordan, una battaglia “combattuta” attraverso le note degli strumenti e non con i proiettili delle armi ….