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Durante gli anni novanta abbiamo incontrato un gruppo chiamato Afghan Whigs e ci siamo innamorati all’istante della loro musica, divisa tra la rabbia del post-punk e il calore del soul. E di canzoni di un’intensità particolare.
Tutto questo per introdurre il progetto parallelo che Greg Dulli, cantante e anima di quel gruppo, ha creato. Soltanto che qui non c’è praticamente traccia di quel suono nervoso. Insomma il rock lo si trova di rado, per lasciare spazio a suoni languidi e soffusi.
E qui sta la prima sorpresa. La seconda è il coinvolgimento nella produzione del disco degli inglesi Fila Brazillia, a loro agio più con l’elettronica che con le chitarre.
Così il disco sembra perdersi in toni troppo eterei e in suoni sintetici per niente affascinanti. Tuttavia c’è un’altra faccia del disco.
Innanzitutto le canzoni. Tranne qualche rara caduta di tono, “Love”, i pezzi sono eccelenti. Ballate tenui, “That’s just how the bird sing” e “Into The Street”, impennate di energia, l’iniziale “The Twilight Kid” e l’incalzante “Annie Mae”, e un’infinità di soul: spiccano “Last Temptation”e la stupenda chiusura di “Twilight”.
E poi la voce di Greg Dulli è quanto di più seducente vi possa capitare di ascoltare.
Insomma uno strano disco, indebolito da una pessima produzione ma capace di sfoderare brani stupendi.
Rischiavamo di odiarlo, forse finiremo per amarlo.