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In questo album, registrato nel 1956, la musica di Monk trova una via espressiva nuova ed intensa, attraverso la composizione per cinque strumenti: dopo avere rinnovato gli standard della musica jazz, Monk si confronta con le sue composizioni originali, e lo fa attraverso gli strumenti e le anime di musicisti d’eccezione. Il gruppo è infatti composto da Ernie Hanry (sax alto), Sonny Rollins (sax tenore), Oscar Pettiford (basso) e Max Roach (batteria), i quali riescono in modo perfetto ad assecondare la costruzione unica della musica di Monk.
La nota che accompagnava l’uscita dell’album, nel ’56, insisteva sull’aspetto “tecnico” del lavoro, sulla difficile architettura che sostiene i ritmi e le armonie delle composizioni di Monk: la sfida era non solo quella di riunire musicisti del calibro di quelli che hanno partecipato a questo disco, ma anche di riuscire a far condividere loro la difficile costruzione musicale: frasi spezzate, cambiamenti di tempo, dissonanze. Il risultato è straordinario, e questa registrazione resiste ancor oggi come valido esempio di un’armonia e di un affiatamento che sono vitali alla musica jazz.
Particolare all’interno dell’album è “I Surrender, Dear”, interamente consacrata al pianoforte protagonista di Thelonious Monk: quasi un manifesto, l’espressione concreta dei tratti alla base della musica di Monk; poi “Pannonica”, con l’esposizione del tema affidata ad uno strumento insolito nella musica jazz: la celesta, strumento a percussione in cui i martelletti colpiscono, invece delle corde come nel pianoforte, minuscoli campanelli; il risultato è un brano dalle atmosfere rarefatte ed eleganti, sofisticato ed armonioso. Come tutta la musica di Thelonious Monk, del resto.